I californiani potrebbero “mandare a casa” Newsom con un recall
In California, il governatore Newsom potrebbe essere rimosso dal suo ufficio. Ma come? “Mandiamoli a casa”: un’espressione sentita molto spesso tra gli elettori, spesso scontenti di uno o dell’altro partito/governo in carica. Ecco, in buona parte degli Stati Uniti, ‘mandare a casa’ i propri politici è possibile mediante lo strumento del recall (‘richiamo’).
Chi, come e per quale ragione può venire ‘richiamato’ varia notevolmente da Stato a Stato. In tre di questi (Arizona, Nevada e Montana) è possibile rimuovere chiunque occupi una carica pubblica, anche non elettiva. In 20 Stati il recall è limitato ad alcune cariche locali, mentre in 19 è esteso anche a quelle statali. In 9 Stati è formalmente prevista la possibilità di rimuovere anche i propri rappresentanti al Congresso, ma non essendoci traccia di questo meccanismo nella Costituzione la materia resta molto incerta.
La Corte Suprema non si è ancora espressa sulla questione poiché non si è mai tenuta una consultazione per rimuovere un politico che occupa una carica federale. In linea generale, un recall è simile ad una iniziativa referendaria: dopo una petizione che deve raggiungere una certa soglia di firme, si passa ad una consultazione ufficiale in cui si chiede ai cittadini se vogliano o meno che X sia rimosso dalla sua carica.
Il recall nella California di Newsom
In California, la legge fissa le seguenti soglie di firme per la petizione per far scattare un recall: il 12% dei voti espressi all’elezione più recente per i membri dell’esecutivo (tra cui il governatore), il 20% per parlamentari e giudici. La petizione deve inoltre contenere firme provenienti da almeno 5 contee dove si è registrato almeno l’1% dei voti all’ultima elezione.
Diverse quote governano il processo a livello locale. Dopo aver verificato la validità delle firme all’interno della petizione, il Segretario di Stato deve annunciare un’elezione da tenersi entro 80 giorni. Il giorno del voto, i californiani si trovano a dover esprimere due voti: un Sì/No sul recall stesso (X dovrebbe essere rimosso dalla carica Y?), e una preferenza su un potenziale successore in caso di approvazione del quesito precedente.
Nonostante la popolarità dello strumento in California, solo un governatore ha visto terminare così la propria carriera politica: si tratta di Gray Davis (democratico), che nell’ottobre 2003 venne rimosso e sostituito da Arnold Schwarzenegger (repubblicano).
Il Covid e il rischio recall di Newsom
Gavin Newsom, democratico, classe 1967, ex sindaco di San Francisco, sua città natale e nota fucina di grandi nomi democratici (Nancy Pelosi, per dirne una), è stato eletto nel 2018 con il 61% dei voti. Un’elezione scontata, in uno Stato ormai così progressista. Allora, cosa fa rischiare un recall? La luna di miele con il governatore è stata incrinata dalla pandemia. Il 19 marzo 2020, la California entrava in lockdown, uno dei più duri del Paese. Solo il 7 maggio iniziava la fase 2, in cui limitati settori hanno potuto riaprire le porte. Una a una, singole contee passavano poi nella fase 3, una riapertura più ampia.
Ma, neanche il tempo di riaprire, Newsom ordinava di richiudere bar, ristoranti, cinema, parrucchieri, teatri e palestre già a fine giugno/inizio luglio, di fronte all’avanzare della seconda ondata negli Stati del Sud. Questo è stato il pattern dell’ultimo anno, con timide aperture e rapide chiusure che hanno esasperato una Covid fatigue tanto familiare anche da noi. Se qui questa si è tradotta in un calo nella popolarità del governo in carica, lì la colpa è stata scaricata sul governatore. Il suo tasso di approvazione è crollato dal 70% di aprile al 45-50% di inizio 2021.
Oltre al danno, la beffa. Il 6 novembre Newsom e consorte si presentano al French Laundry, un ristorante alla moda nella Napa Valley, per partecipare a una festa privata. Il tutto contro le linee guida sugli incontri fuori casa. Poi, a dicembre, mentre buona parte delle scuole pubbliche dello Stato restavano chiuse, è uscita la notizia che i figli del governatore stavano frequentando la propria scuola privata in presenza. Queste due notizie, sebbene non particolarmente rilevanti in assoluto, hanno restituito un’immagine negativa, quasi che il governatore si stesse sentendo a un livello superiore rispetto ai tanti californiani chiusi in casa da mesi.
Non solo. C’è anche la questione delle truffe ai danni dello Stato all’interno del generoso programma per i disoccupati varato durante la pandemia. Secondo le stime, l’Employment Development Department, investito del ruolo di pagare i sussidi, avrebbe elargito fino a 31 miliardi di dollari pubblici a dei truffatori. Il tutto durante un periodo devastante per le finanze delle amministrazioni pubbliche locali. Se è vero che le truffe non sono state compiute dal governatore, il fatto che non ci sia stato abbastanza controllo sui beneficiari, e che probabilmente a dover “tappare il buco” saranno i taxpayer, fa puntare il dito verso l’impreparazione dell’amministrazione.
All’irritazione per la gestione della pandemia si sommano gli annosi problemi dei californiani: tasse molto alte in confronto ad altri Stati, la crisi dei senzatetto (legata all’incapacità di affrontare il problema dei prezzi elevati delle case), e tra pochi mesi anche l’esasperazione per gli incendi boschivi sempre più frequenti e distruttivi che arriveranno con la bella stagione. Sul tutto, la California sta entrando in un’altra siccità.
La campagna per la rimozione
Di fronte a questa catena di problemi, si è rafforzata la campagna per rimuovere Newsom. Iniziata da sostenitori di Trump, è stata progressivamente abbracciata dalla sezione californiana del Partito Repubblicano e ha guadagnato popolarità. Entro il 17 marzo doveva presentare 1.495.709 firme valide (il 12% dei voti espressi alla precedente elezione per il governatore). Ne sono state presentate oltre 2 milioni, che sono comunque in corso di validazione.
Se risulteranno abbastanza, nei mesi prossimi si terrà una consultazione in cui sarà chiesto se si vuole rimuovere Newsom e, se dovesse vincere il sì, chi lo dovrebbe sostituire. Secondo l’ultimo sondaggio, resta alta (56%) la percentuale di californiani che si oppongono alla rimozione del governatore. Il rischio per Newsom è comunque reale.
Lo schieramento repubblicano è già nutrito di candidati per il rimpiazzo, tra cui l’ex sindaco di San Diego Kevin Faulconer e l’ex avversario di Newsom John Cox. Ma sicuramente altri grandi nomi emergeranno (nel 2003 i candidati erano 130). Da parte democratica c’è cautela, ma è ovvio che qualcuno si dovrà candidare – non si sa mai che gli stessi elettori democratici abbiano voglia di rimpiazzare Newsom con un altro dello stesso schieramento.
Per ora, il partito è unito attorno all’attuale governatore, che ha ricevuto di recente un grosso assist da Nancy Pelosi. Ma prima o poi, sarà inevitabile coprirsi le spalle con un nome. A quel punto, la grande domanda è: questo ipotetico candidato (o candidata) attaccherà il governatore per ritagliarsi un ruolo autonomo, per energizzare la base democratica? Oppure resterà fedelmente il candidato-scialuppa nella remota eventualità di una scomunica di Newsom?
Controattacco?
Resosi conto che la propria carriera è appesa a un filo, il governatore ha rapidamente e improvvisamente spinto un piano di riapertura dello Stato, affiancandovi una campagna vaccinale molto ambiziosa. L’improvvisa determinazione di Newsom nel riaprire l’economia pone due ordini di questioni.
Da una parte, i Repubblicani si chiedono se sarebbe successo lo stesso senza la prospettiva del recall, che in questa chiave di lettura può essere visto come un’arma potentissima per influenzare la politica statale. Dall’altra, la comunità scientifica e medica allarmata da una possibile nuova ondata che può colpire uno Stato vulnerabile a causa delle riaperture per ora distante dall’immunità di gregge.
L’opportunismo politico, insomma, costerà vite umane? Da parte loro, i proprietari di piccole attività non dimenticheranno velocemente le decine di migliaia di dollari di debiti accumulati durante i lockdown ‘colpa’ del governatore. La partita sembra aperta: molto dipenderà da chi e in che percentuale si recherà alle (eventuali) urne.