Marco Vannini è stato ucciso a Ladispoli nel 2015 da Antonio Ciontoli, il padre della sua fidanzata. Detto Tonino, Ciontoli è un sottufficiale della marina militare distaccato ai servizi segreti, il quale possiede naturalmente delle armi che però – la sera dell’omicidio – non aveva sapientemente saputo mettere in sicurezza.
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Omicidio Vannini: l’accaduto
La notte della tragedia Marco Vannini era a casa dalla fidanzata Martina ed insieme a loro c’era tutta la famiglia della ragazza: la madre, il padre, Federico (il fratello) e Viola, la fidanzata di Federico. Mentre il ragazzo si stava facendo la doccia, un colpo di pistola l’ha ucciso. Le dinamiche non sono ancora ben chiare: Ciontoli ha dichiarato che il ragazzo, preso dalla curiosità di vedere le pistole che l’uomo aveva dimenticato in giro, abbia fatto partire per sbaglio un colpo di pistola.
Un triste incidente che però probabilmente non sarebbe costato la vita a Marco, se solamente i familiari della sua ragazza avessero chiamato per tempo i soccorsi. Le telefonate al 118 sono state fatte dopo circa un’ora dall’accaduto e il padre disse di aver bisogno di un’ambulanza in quanto un ragazzo si era tagliato con un pettine appuntito.
Quando i soccorsi arrivarono, per Marco era ormai troppo tardi. I medici nel referto hanno riportato una ferita da colpo di pistola, ma tutti i presenti hanno negato di aver visto il buco di un proiettile, pensando che il rumore causato dalla pistola non fosse altro che uno sparo a vuoto.
Qualcosa non quadra dai racconti dei presenti la notte dell’omicidio
Qualcosa però non torna nell’omicidio di Vannini e le intercettazioni che di recente sono state rinvenute su richiesta del PM, scombussolano le indagini. Innanzitutto le infermiere ed i medici hanno dichiarato che il padre chiese di negare la presenza di un colpo d’arma da fuoco, oppure avrebbe perso il lavoro. Ecco spiegato – anche se non giustificato – il motivo del ritardo nel chiamare i soccorsi. Ciò che però lascia perplessi è il fatto che tra tutti i testimoni presenti la notte dell’omicidio, nessuno abbia messo al primo posto la vita del ragazzo piuttosto che il lavoro di Antonio.
Dalle intercettazioni telefoniche emerge come neppure gli amici credono a Martina, Federico o Viola, i quali restano fermi sulla loro idea: “Non pensavamo che lo sparo fosse partito veramente” dicono, ma si contraddicono in tribunale quando dichiarano di aver cercato di capire dove fosse finito il proiettile (Marco infatti è stato colpito al braccio, ma poi il proiettile è arrivato all’anca causandogli la morte).
Ad alimentare ulteriormente i dubbi, ci sarebbe la posizione delle pistole: Antonio si ricordava di averle messe in bagno perché da lì a poco gli sarebbero servite per un’esercitazione, Viola invece confessa ad un’amica di averlo visto mentre le portava in bagno.
Quindi qual è la verità? Le indagini naturalmente non si fermeranno ma proseguiranno per far chiarezza sull’avvenuto e rendere giustizia a Marco, morto appena vent’enne.