Mentre il governo procede a passo spedito con l’approvazione della riforma costituzionale, le opposizioni sembrano ancora non aver trovato una linea unitaria da seguire.
Tra Salvini e Berlusconi ormai la spaccatura è profonda, l’apparente tregua ostentata dopo l’incontro tra i due è già terminata e lo scontro tra le due fazioni degenera in una guerra nell’aula del Senato. Un episodio senza precedenti, arrivato direttamente dalla plenaria di Strasburgo, dove si trovava Salvini: i senatori leghisti hanno abbandonato l’aula e accusato gli esponenti di Fi di aver fatto, insieme a Verdini, da ‘stampelle’ a Renzi.
Una situazione che ha di certo preoccupato di nuovo Berlusconi, che però è ancora convinto di poter ricucire lo strappo: “nelle prossime ore chiamo io Matteo, glielo spiego che per noi non c’erano le condizioni per l’Aventino, che non è nelle nostre corde, i nostri elettori non capirebbero- ha spiegato il Cavaliere ai suoi – e aggiunto: “da quel che mi ha spiegato Romani se non fossimo rimasti in aula sarebbe saltato per aria l’intero gruppo”. Una strategia che ha mandato su tutte le furie Renato Brunetta, capogruppo alla Camera, ma una scelta obbligata per Paolo Romani: almeno una decina di senatori avevano comunicato che in caso di Aventino si sarebbero presentati in aula in dissenso. Tra i dieci c’erano anche Matteoli, Carraro, Scoma e Villari. Si è così arrivato al voto favorevole di Fi sull’emendamento sulla dichiarazione di guerra che di fatto ha salvato il governo e la decisione di rimanere in aula e non firmare la lettera da inviare al Colle con le altre opposizioni.
Giovanni Toti: “Nessun ritorno al Nazareno”
A difendere la posizione di Fi ci pensa Altero Matteoli, intervistato da Repubblica: “ho detto ai miei che l’Aventino non ha mai portato a nulla di buono nelle democrazie. Siamo minoranza? Bene, difendiamo le nostre posizioni in aula e accettiamo la sconfitta dei numeri”. In merito al voto sull’articolo 17 del ddl costituzionale, Matteoli rileva che “quella norma delicatissima riguardava la dichiarazione dello Stato di guerra. Figurarsi se uno come me, di destra, con una sua storia, una sua tradizione, poteva sostenere un emendamento ideologico proposto dalla sinistra Pd solo per un tatticismo parlamentare. Ma andiamo…” – alle critiche leghiste replica: «non siamo stampelle nè filorenziani, ma non saremo neanche mai oltranzisti come loro alla maniera dei grillini”.
A Matteoli fa eco dalle pagine del Messaggero Giovanni Toti, governatore della Liguria e consigliere politico di Fi, che smentisce un ritorno al patto del Nazareno: “Non diciamo sciocchezze. Il nostro capogruppo al Senato, Paolo Romani, ha appena scritto una lettera al presidente della Repubblica Mattarella lamentandosi del trattamento riservato alle opposizioni durante il dibattito sulla riforma Costituzionale. Non c’è alcun ritorno al Nazareno” e aggiunge: “era una questione tecnica e abbiamo dimostrato di essere un’opposizione responsabile. Noi di Forza Italia il dialogo non lo neghiamo a nessuno e nel caso in cui il governo decidesse di rimettere mano all’Italicum introducendo nuovamente il premio di coalizione anziché il premio di lista non ci opporremmo di certo. Ma far discendere una rinascita del patto del Nazareno da questo è sbagliato”. E sulle alleanze nel centrodestra, puntualizza: “e ci fate caso Salvini parla sempre di Alfano, non dell’Ncd. È anche lui consapevole del fatto che oltre a una parte del partito ormai appiattita su Renzi, ce n’è un’altra che sta facendo una riflessione critica sull’alleanza con il Pd. Per quanto mi riguarda la coalizione deve essere la più ampia possibile. Forza Italia, Lega Nord, Fratelli d’Italia e quell’area di centro che dovrà necessariamente riflettere su sé stessa e sul proprio destino”.