Con la nascita dei social anche la comunicazione politica ha dovuto mutare forma. Le note politiche, i comunicati stampa, sono ormai merce rara. I politici di oggi comunicano attraverso stati su Facebook o con annunci di 140 caratteri su twitter (vedi Renzi e Gasparri veri leader dei nuovi medium). Eppure c’è chi, come Gianni Cuperlo, questi social ancora non li ha compresi fino in fondo. O meglio. Non riesce a capacitarsi dell’odio che si riversa nei messaggi degli utenti che commentano ogni suo stato. L’ultimo, quello in omaggio ad Ingrao, ha raccolto un sacco di commenti duri e crudi. E a quelli l’ex presidente del Pd ha voluto rispondere. A modo suo.
Non ho un grande feeling con questo mezzo. È che lo trovo complicato da decifrare. Ieri per dire ho riportato qui alcune parole dette alla Camera su Pietro Ingrao e uno dei commenti (Sauro mi pare) mi ha rivolto la domanda che per primo io mi pongo. Ma non ti fa riflettere la mole prevalente di commenti non solo negativi ma spesso insultanti? Si, la verità è che mi fa riflettere e non da oggi. Provo a separare i temi, perché secondo me vanno almeno in parte tenuti distinti. Parto dalla sostanza politica. Il Pd per molti che commentano è un partito che ha tradito la sinistra. Punto. Devono vergognarsi e tacere quanti per interesse rimangono lì e non se ne vanno denunciando il tradimento. Non voglio obiettare. Qui sopra e altrove ho detto tante volte quel che mi vede in dissenso. E non nascondo che mi sono chiesto cosa sia divenuto questo progetto e dove lo si stia portando. Uscire? Ne ho parlato con persone che la storia della sinistra italiana l’hanno scritta e vissuta e questa ipotesi non la reputano la risposta giusta per una quantità di ragioni. Ma so che chi scrive i commenti che dicevo non ha molta cura verso argomenti del genere. Hanno maturato un giudizio e io, vi prego di credermi, quel giudizio rispetto. Per cui leggo quelle loro espressioni e non posso dirvi che non mi colpiscano e feriscano ma le ritengo il frutto del mezzo che uso, io come altri. Scrivo delle frasi qui e chiunque ha il diritto di chiosarle. Poi c’è un secondo piano che forse è quello più difficile per me da comprendere. Ed è la rabbia profonda, se volete quel sentimento di odio e disprezzo che in alcuni dei commenti si esprime senza remore e pudori. Non di linguaggio ma di sostanza. Ieri uno ha scritto che non potevo nominare la figura di Ingrao e che se lui fosse stato ancora tra noi per le mie scelte mi avrebbe sparato in bocca. Ecco, capite cosa mi impressiona? E che ovviamente mi fa riflettere perché sarebbe un assurdo non farlo. Io posso avere sbagliato ogni cosa, stare nel Pd, rimanerci, sedere in Parlamento. Uno può pensare che ci rimango solo per il denaro o perché fuori da lì non troverei un lavoro neppure a supplicarlo, sono pensieri dolorosi per me e non credo di poter convincere chi li scrive del contrario, ma cosa spinge la durezza di un giudizio a tradursi in una violenza senza aggettivi? Ho letto i commenti, ripeto. Tornano i termini “vergogna vergognatevi”. Io posso sbagliare e mi capita a volte di riconoscerlo. Ma no, non mi capita di vergognarmi per gli errori che posso compiere. E non mi accade perché alla fine di tutto so che quei giudizi sono profondamente errati. Credo di averlo capito molti anni fa, quando questo mezzo non c’era, e quando senza altra ragione che la passione ho deciso che sarei stato da una parte, secondo me quella giusta. Ok, sono andato lungo e scusate. Non so se quelli tra voi più accaniti nel picchiare i tasti in sostituzione di altro sentono lasciando quei messaggi di trovare una ragione di conforto, orgoglio, senso di giustizia. Una cosa sola vorrei dirvi, che se aveste conosciuto quella personalità unica che ho cercato di ricordare ieri alla Camera o altri dirigenti storici di quel partito non vi verrebbe mai alla mente un’immagine così sciagurata come lo sparare in bocca a qualcuno che non la pensa come voi. Quelli hanno ricostruito questo paese pensando e facendo esattamente l’opposto. Perché erano uomini e donne che la violenza l’avevano conosciuta. Fa differenza. Buone cose.