Italia, Iraq, Libia: aggiungi un posto a tavola
Italia in Iraq: lo ha riferito Franco Venturini del Corriere della Sera appena 3 giorni fa, l’ipotesi di un intervento degli aerei italiani sul territorio di Baghdad in chiave anti-Isis diventa sempre più concreta. I 4 Panavia Tornado, schierati in Kuwait, al momento sono impiegati in missioni di ricognizione e illuminazione ma, stando alle indiscrezioni, le regole d’ingaggio della nostra missione in Iraq potrebbero subire una modifica già entro un mese. Prima di poter autorizzare azioni di attacco contro il Califfato, però, è necessario che la questione passi attraverso il Parlamento. Si potrebbe ricorrere al voto congiunto delle commissioni competenti, tuttavia, non si esclude la semplice informativa (in quanto l’intervento in Iraq sarebbe già stato autorizzato nel 2014).
Italia in Iraq: “passaggio” in Parlamento
L’intervento italiano in Iraq non potrà cambiare le proprie modalità prima di un “passaggio” in Parlamento: le parole sono del ministro della Difesa Pinotti, nonostante la loro ambiguità potrebbero comunque lasciar trasparire le intenzioni del governo. Voto delle due camere – come chiedono M5S e Sel? poco probabile. Voto ristretto delle Commissioni Esteri e Difesa? Già c’è qualche possibilità in più. Semplice informativa nel quadro di un’autorizzazione ricevuta dal Parlamento l’anno scorso? Potrebbe essere proprio questa la strada favorita.
Tuttavia, c’è un problema: approvando la risoluzione della Commissione Esteri e Difesa – era il 20 agosto 2014 – il Parlamento ha autorizzato l’invio di materiale umanitario e armi. In quel caso, non veniva fatto alcun accenno a impiego di forze italiane in azioni di guerra – argomento sul quale è diritto e dovere del Parlamento esprimersi. Gli uomini (530), alla fine, sono stati inviati lo stesso, così come gli aerei (come si diceva, solo per missioni di ricognizione): il governo informava di volta in volta il Parlamento, che non si esprimeva al riguardo solo perché – appunto – non erano previste delle “azioni di attacco”.
Italia in Iraq: aggiungi un posto a tavola
Sembra che l’iniziativa venga portata avanti dal governo esclusivamente per guadagnare qualche “punto” in politica estera. Certo, l’intervento contro lo Stato Islamico ci è stato richiesto direttamente dall’alleato governo di Baghdad e in Iraq ci sono tutti i nostri alleati, dunque, “se vogliamo essere presi sul serio, facciamo le cose serie” ha detto il Generale Carlo Jean, intervistato dal Fatto Quotidiano. Il fronte dell’interventismo ricorda che i 4 Tornado che Roma ha inviato in Iraq hanno solo il compito di individuare gli obiettivi che poi toccherà a qualcun altro colpire e distruggere: se l’Italia cominciasse con le proprie azioni d’attacco, innanzitutto, avrebbe a disposizione una quantità di informazioni operative che, tuttora, le sono precluse. Il ragionamento è questo: siamo fuori dai “cerchi ristretti” dell’Alleanza Atlantica perché non “combattiamo” abbastanza, chi non “combatte” alla fine viene escluso dagli scenari più importanti (Libia).
D’altra parte, anche se suona un pò cinico, il tempo per “combattere” l’Isis con molta probabilità sta per scadere: come sa anche il meno esperto degli addetti ai lavori, lo Stato Islamico è foraggiato sostanziosamente da praticamente tutti i più forti stati sunniti ma resta un’accozzaglia di “fanatici” che un qualsiasi esercito ben addestrato riuscirebbe a far fuori in massimo due settimane. L’intervento russo ha smosso le carte in tavola: davvero, l’Occidente lascerà che Putin si prenda il merito di aver sconfitto i terribili “uomini in nero”? La Russia – insieme all’Iran – non sarà più una grande potenza ma supporta in modo efficace l’esercito siriano (con pochi e precisi raid Mosca, con l’invio delle forze speciali Teheran), cioè l’ultimo apparato in grado di mettere ordine rimasto nell’area – quando la coalizione Usa-led ha fatto oltre 7500 raid senza praticamente concludere nulla.
Detto questo, è chiaro che il nostro interesse sia arrivare in Medioriente giusto in tempo per dire “c’eravamo” e, quindi, poter chiedere di sederci a un tavolo di negoziati possibilmente quello sul quale si vorrà decidere il dopo Assad.