Non è un argomento nuovo, ma in tempi di rimessa in discussione delle riforme sulle pensioni è bene ritornarci, se non altro per ricordare di cosa una classe politica può essere capace in alcune fasi con l’unico scopo del consenso, e non dell’equilibrio economico, tanto meno di quello delle future generazione, e per non dimenticare che ad oggi ancora nessun provvedimento è stato preso per correggere gli squilibri che ancora oggi esistono
42 anni di babypensioni, le origini nella crisi petrolifera del 1973
Correva l’anno 1973, l’Italia era stata appena colpita dalla crisi petrolifera, che per la prima volta nel Dopoguerra avrebbe portato il Paese a misure di austerità. Il comunismo sembrava destinato ad allargarsi sempre di più, non solo in Italia dove il PCI avanzava, ma in tutto il mondo.
Fu così che il primo governo del redivivo centrosinistra, DC-PSI-PSDI-PRI, guidato da Rumor, pensò di attuare una misura che avrebbe tenuto buono e fidelizzato una buona fetta dell’elettorato, un vero e proprio regalo di Natale protrattosi per 19 anni, essendo stata una misura varata a fine dicembre 1973: da quel momento le donne dipendenti statali con figli sarebbero potute andare in pensione con 14 anni, sei mesi e un giorno.
Ricordiamo che già per gli altri statali si poteva accedere alla pensione con 19 anni 6 mesi e un giorno.
La spiegazione data era legata anche al fatto che allora gli stipendi statali erano inferiori a quelli privati, aumentati notevolmente negli ultimi anni. Successivamente anche questo alibi decadrà, con i generosissimi aumenti per il pubblico impiego che ci saranno fino al 1992.
Ne approfittarono così 17 mila persone entro i 35 anni, e 78 mila tra i 35 e i 39 anni.
Di fatto cominciarono ad aversi in Italia 30enni in pensione, mentre oggi vi sono 30-35enni che non hanno ancora ottenuto un lavoro definitivo.
Fu solo con la riforma Amato del 1992 che furono abolite queste pensioni, e da allora le regole sono diventate sempre più stringenti, oggi sono 41 anni e 10 mesi per le donne e 42 anni e 10 mesi per gli uomini
Babypensioni, i numeri
Vediamo un po’ di numeri, come riportati dal Corriere, presi dal Casellario centrale dei pensionati. Riultavano:
– 429 mila pensionati sotto i 50 anni con l’INPDAP, ente di previdenza del pubblico impiego
– Diventavano 536 mila contando i pensionati INPS sempre sotto i 50 anni, con prepensionamenti e trattamenti particolari
– 7,4 miliardi la spesa per le pensioni INPDAP
– 9,5 miliardi comprendendo le pensioni INPS, chiaramente sotto i 50 anni
– 239 mila le donne e 185 mila gli uomini i baby-pensionati INPDAP
– 65% la quota di baby-pensioni al Nord Italia
– 64 anni circa l’età media attuale di chi era andato in pensione a 35-39 anni
– 1500€ lordi al mese in media l’importo delle pensioni percepite dai babypensionati
Babypensioni, i danni economici e non
Considerando che è di circa 270 miliardi la spesa pensionistica in Italia, la più alta in Europa, lo ricordiamo, le babypensioni rappresentano il 3,5% di questa spesa, e circa lo 0,6% del PIL.
Ci si concentra sui numeri, certo, ma le conseguenze di questa scelta, largamente non calcolata dai governanti di allora per stessa ammissione di molti dei protagonisti, furono ancora più gravi e non calcolabili.
Di fatto fu una uccisione di un modello di sviluppo che cercava di fare entrare la donna nel sistema produttivo, proprio mentre nel resto d’Europa si provava a fare l’opposto.
Fu lì che si misero alcune delle basi, le altre sono la mentalità e il lavoro nero, per rendere l’Italia uno dei Paesi con minore occupazione femminile. Un danno alla struttura produttiva del Paese, con un minore contributo ai consumi e all’economia reale, anche in termini di sviluppo di un mercato dei servizi alla famiglia (asili nido per esempio) altrove florido.
Il costo opportunità del non avere una più ampia scelta di talenti, in questo caso femminili, da utilizzare nell’economia, così come contributi per il sistema previdenziale, è incalcolabile. E’ stato un congelamento di una parte importante del corpo vivo del Paese, rimasto inutilizzato, impegnato per un breve periodo nella cura della prole, cosa che tra l’altro non ha impedito il calo della fecondità, ma poi rimasto improduttivo.
Oggi come abbiamo detto le babypensioni rimangono un peso non indifferente per le casse dello Stato, e diverse proposte sono state fatte per restituire un po’ di equità, che certamente non esiste se pensiamo che secondi alcune fonti i babypensionati percepiscono 3 volte di quanto spetterebbero loro, e per altri, come Sergio Rizzo, è l’82% la quota regalata a pensionato, considerando l’aspettativa di vita di una donna.
Proposte di penalizzazione per le babypensioni più alte sono state fatte, da quelle di Zanetti, a quelle di Boeri, che si concentrano più in generale sulle pensioni più ricche di ogni tipo, ma è una vecchia querelle, già nel 1995 il ministro Treu aveva lanciato l’idea di un contributo di solidarietà, rifiutato dai sindacati e quindi caduto nel vuoto.