Fare l’Erasmus conviene alla carriera, i dati della Commissione Europea
Fare l’Erasmus conviene alla carriera, i dati della Commissione Europea
E’ uno dei riti di passaggio ormai classici per tantissimi giovani europei. Sono più di 3 milioni i giovani europei ad aver fatto questa esperienza, mitica per molti, per cui è stata la prima occasione di uscire di casa, e stare all’estero più a lungo di una settimana, di conoscere coetanei di una trentina di Paesi o quasi, spesso di incontrare l’amore, nella forma di una ragazza o di un ragazzo nato a migliaia di chilometri.
Erasmus e mondo del lavoro, il vantaggio c’è
Le motivazioni per fare l’Erasmus del 23enne che parte (questa l’età media, almeno in Italia), non è immediatamente quella di avere un domani uno stipendio migliore di di avere delle “soft skills”, vivere all’estero, conoscere persone nuove e imparare meglio la lingua, e poi, certo, poter lavorare all’estero.
Chiaramente il giovane mira a un’esperienza di vita che sia una svolta, ma poi cosa avviene veramente?
C’è un vantaggio tra chi si imbarca per un Erasmus e chi non lo fa?
Secondo un report della Commissione Europea sì, in termini di accesso al lavoro e di carriera l’ex studente Erasmus ha una minore possibilità di rimanere disoccupato dopo la laurea, come vediamo di seguito, nel grafico che riprende la percentuale di laureati disoccupati dopo un determinato periodo di tempo. Sono il 3% in meno gli Erasmus (studies e placement sono due diverse tipologie di programma Erasmus) quelli che rimangono senza lavoro dopo 3 mesi in Europa, e la metà, il 2% contro il 4%, quelli che lo sono dopo 12 mesi.
Non solo, non si tratta solo di trovare o meno un’occupazione, ma della tipologia di lavoro trovata: gli ex studenti Erasmus tendono ad occuparsi in settori più internazionali, in aziende che abbiano più contatti con l’estero, o filiali straniere, clienti internazionali, e a viaggiare di più per lavoro:
Questo certamente impatta sulle possibilità di guadagno e di carriera anche di lungo periodo, come è stato verificato dalla Commissione Europea, che ha trovato che a 10 anni della laurea il tasso di occupazione degli studenti Erasmus è circa il 15% maggiore degli ex-studenti che non hanno seguito programmi di mobilità, e sono decisamente meno gli Erasmus che invece sono o disoccupati o lavoratori autonomi, o occupati a casa per esempio con figli.
Ricordiamo che questa indagine coinvolge tutta Europa e sarebbe interessante osservare i risultati per l’Italia, che, possiamo ben immaginarlo, non sarebbero così lusinghieri, sia per gli ex studenti Erasmus, sia per gli altri.
Infatti un altro elemento esaminato dall’indagine della Commissione Europea è il livello di carriera raggiunto dalle due tipologie di persone.
Secondo il report gli ex Erasmus dopo 10 anni sono in posizioni di management, alto o medio, molto più di chi non ha studiato all’estero. il 38% contro il 23% sul basso management, e il 33% contro il 26%.
Curiosamente sono meno tra i Chief Executive, il 6% contro il 10%. Una spiegazione può essere che gli ex studenti Erasmus come abbiamo già visto sono spesso impiegati in aziende come le multinazionali con molte attività all’estero che essendo dimensionalmente più grandi non consentono così facilmente una scalata fino al top nei primi 10 anni di carriera.
Il dato più significativo è quello che vede una grande differenza tra ex Erasmus e non nella copertura di posizioni che non sono di management, solo il 23% degli ex Erasmus non è riuscito a fare carriera, contro il 41% degli altri ex studenti
Erasmus solo per chi è già ricco ed avvantaggiato?
Un dubbio però emerge, l’Erasmus non è per tutti, non è gratis. Come più in generale l’università.
Stiamo assistendo in Italia a un continuo calo delle iscrizioni all’università, del 20% in dieci anni, ma in particolare del 45% per chi proviene da istituti tecnici e professionali, e in particolare al Sud, e da famiglie meno abbienti, complice il taglio del fondo di finanziamento ordinario dell’università, di 800 milioni dal 2009 a oggi, mentre le tasse universitarie in media sono passate da 737€ a 1112€ annui.
I laureati hanno naturalmente e giustamente più possibilità di fare carriera sul lavoro, ma oggi più di ieri andare all’università non fa parte di quelle opportunità di partenza uguali per tutti, e così l’Erasmus, che costituisce un costo aggiuntivo.
Pensiamo solo che per esempio il contributo di una università rinomata come quella di Bologna per chi parte è di 260-310€ mensile, a seconda del costo della vita nel Paese prescelto. E’ evidente come questa cifra possa coprire in media solo la metà, se non un quarto delle spese di uno studente all’estero.
E infatti il costo, assieme ad altri fattori come questioni familiari o affettive, sia in testa alla motivazioni contrarie alla partenza (EIS e CHAPS sono due diverse indagini sullo steso argomento)
Può venire quindi il dubbio che essendo il segmento di studenti che sceglie/può permettersi di accedere al programma Erasmus è già in un certo senso auto-selezionato, e composto da persone che per possibilità finanziarie e network familiare già si troverebbe, anche senza Erasmus, più avvantaggiato dalla media in una futura carriera