Ci notano di più se facciamo le primarie PD o se non le facciamo? Parafrasando il Nanni Moretti di Ecce Bombo, il dilemma che assilla i dirigenti del Partito Democratico da una settimana a questa parte– cioè da quando Ignazio Marino è stato sostanzialmente sfiduciato dal partito – sta tutto qui: primarie sì o primarie no? Ad oggi – nel mare magnum del toto-nomi e delle auto candidature improvvisate – una sola cosa è certa: in vista delle amministrative della primavera prossima che porteranno al voto 1286 comuni in tutta Italia, ogni situazione è diversa dall’altra e di conseguenza l’analisi va fatta caso per caso.
La questione delle primarie è tornata a galla dopo le annunciate dimissioni del Sindaco di Roma Marino che nel 2013 aveva scalzato, proprio nella consultazione tra i democratici romani, David Sassoli e Paolo Gentiloni alla corsa verso il Campidoglio. Sull’argomento nei giorni scorsi è tornato anche Romano Prodi, padre fondatore di Ulivo e Pd: “Non chiedete a me perché io sono l’uomo delle primarie, quindi…” aveva detto l’ex Presidente del Consiglio aggiungendo anche che “le primarie sono state rese necessarie per la crisi dei partiti” e non “perché siano sacre”. “Però – aveva concluso Prodi – non essendo state stabilite successivamente regole precise per queste consultazioni stanno entrando in crisi anche le primarie”.
E allora vediamo come il Pd sta trattando il caso nelle principali città in cui si andrà a votare nel maggio prossimo.
Primarie Pd, il caso di Milano
Milano. Nella città di Expo le primarie sono già state fissate per il prossimo 7 febbraio. Ad oggi, i candidati ufficiali sono tre: Emanuele Fiano, renziano di ferro e componente della Commissione Affari Costituzionali della Camera, Pierfrancesco Majorino, fedelissimo di Pisapia e assessore alle Politiche sociali del Comune di Milano e Roberto Caputo, ex Presidente del Consiglio Provinciale. Con uno di questi tre – ragionano al Nazareno – contro un candidato forte del centrodestra (Lupi? Salvini?), non vinceremo mai. Ci vorrebbe un nome ad effetto. Giuliano Pisapia ha confermato ancora pochi giorni fa a Renzi di non volersi ricandidare – “non sono riuscito a convincerlo” ha rivelato il premier a Che tempo che fa – e quindi l’unico nome rimasto in piedi sarebbe quello di Giuseppe Sala, amministratore delegato di Expo spa dal 2011. La fiera internazionale è stata un successo, dicono in molti (anche se sui numeri rimangono non pochi dubbi), Milano è ripartita alla grande dopo le inchieste di corruzione del maggio 2014 e Sala sarebbe l’uomo giusto per raccogliere il testimone di Giuliano Pisapia. Unico problema: il manager non si sottoporrebbe alle primarie. Ergo: alla fine molto probabilmente non si faranno, in nome di una “candidatura unitaria”. Ieri intanto Maria Elena Boschi a Porta a Porta ha dichiarato che se a Roma le primarie saranno fatte, lo stesso non si può dire con certezza per Milano: “vedremo” ha glissato il ministro. Non si è fatta attendere la replica di Majorino che ha attaccato a muso duro la Boschi: “Con tutto il rispetto – ha detto – nessuno autorizza gli esponenti nazionali del Pd a disporre delle nostre volontà. Le primarie si fanno”. Così, a chiudere la diatriba ci ha pensato direttamente Renzi che in mattinata a Radio 24 ha annunciato: “il sindaco di Milano lo sceglieranno i milanesi”. Frase di circostanza?
Primarie Pd, il caso di Roma
Roma. Nella capitale la situazione sembra più chiara. Il giorno dopo le dimissioni di Marino i giornali titolavano: “Renzi ha già deciso ‘niente primarie il nome lo scelgo io’” (Repubblica, 09.10), “Renzi: ‘un addio tardivo’. La frenata sulle primarie” (Il Messaggero, 09.10), “Pd, dopo Marino addio primarie” (La Stampa, 10.10). Poi domenica scorsa il premier a Che tempo che fa ha smentito tutti i retroscena giornalistici: “il sindaco lo scelgono i romani. Credo che se c’è una cosa sicura è che non posso essere io a farlo. Se siamo il partito delle primarie i romani lo scelgano e speriamo scelgano bene. Facciamo bene attenzione…” concludeva il premier. Ieri è arrivata la conferma anche del ministro Boschi che ha placato gli animi: le primarie a Roma si faranno. Comunque – come hanno riportato i giornali nei giorni scorsi – a Roma il partito sta cercando un nome forte (Marchini? Cantone? Sabella?) in modo da rendere le primarie una semplice formalità e tentare così il miracolo di riconquistare il Campidoglio, soprattutto dopo la lettura degli ultimi catastrofici sondaggi.
Primarie Pd, Napoli, Bologna e Torino
Torino e Bologna. I due capoluoghi di Regione vanno messi insieme per un semplice fatto: sia a Torino che a Bologna i due sindaci uscenti – Piero Fassino e Virginio Merola –sono entrambi del Pd e intendono ricandidarsi. Ergo: niente primarie.
Napoli. Qui la strada verso l’election day passa per una data importante: il 21 ottobre. Mercoledì prossimo infatti la Corte Costituzionale dovrebbe pronunciarsi sulla costituzionalità della legge Severino inerente al “caso De Magistris”. L’attuale sindaco – da tempo ostile al premier – intende ricandidarsi e il Pd dovrà trovare un candidato forte per evitare un’altra batosta nel capoluogo campano. Da tempo si parla della possibile candidatura di Antonio Bassolino, vecchio dinosauro della politica già sindaco di Napoli dal 1993 al 2000. L’altro nome forte è Raffaele Cantone, peraltro candidato a qualunque poltrona da quando è stato chiamato all’Anac dallo stesso Renzi. Intanto ieri, il vicesegretario democratico Lorenzo Guerini in un’intervista al Mattino ha frenato sulle primarie che – ha detto – sono “uno strumento importante” ma “va utilizzato bene” e non “per conte interne”.
Giacomo Salvini