Dimissioni Marino, balletto a Roma
Marino sta seriamente meditando di ritirare le dimissioni e portare la questione in consiglio comunale. Orfini: “Esperienza Marino chiusa”.
Dimissioni Marino: “Mi chiedete di ripensarci? Non vi deluderò”. Ignazio Marino sembra voler accontentare la popolata piazza che settimana scorsa chiedeva il ritiro delle sue dimissioni. Un tam tam ha portato ieri sera la notizia fino al Nazareno, dove però restano chiuse le porte al sindaco della città eterna: “Non ci sono più le condizioni per proseguire”.
Marino non vuole in alcun modo arrendersi. Dal giorno dopo l’archiviazione del caso ‘scontrini’, il sindaco ha deciso di uscire dall’assedio, forte anche del sostegno che la piazza gli ha mostrato. Solo negli ultimi giorni ha fatto varie uscite pubbliche, rivendicando il lavoro fatto dalla sua giunta. L’ha fatto in occasione dell’inaugurazione del viadotto tra Fidene e Villa Spada, “un’opera realizzata in tempi record per aumentare la vivibilità di questi due quartieri, prima collegati solo da un ponte a transito alternato trai due sensi di marcia”. In questa occasione il sindaco non ha voluto dare nessuna notizia sulle sue intenzioni a 6 giorni dal fatidico 2 Novembre, giorno in cui a Roma prenderà pieni poteri il commissario.
Dimissioni Marino: giunta Campidoglio
Per le 11 di questa mattina, però, il sindaco ha convocato la Giunta in Campidoglio. C’è una buona possibilità che annunci ufficialmente il ritiro delle dimissioni. Alla base di questa nuova mossa, come spiega su Radio2 l’amico Guido Filippi, è la volontà di Marino “di portare la discussione in Aula, perchè è incomprensibile che un Sindaco venga deposto attraverso interviste e comunicati stampa”. Ipotesi confermata anche dall’assessore al Patrimonio di Roma, Alessandra Cattoi.
Marino, quindi, vuole arrivare in aula, forte della chiusura della vicenda dei rimborsi, dimostrando alla città che un’eventuale sfiducia nei suoi confronti è una mossa esclusivamente politica. Ma il PD ritiene che la questione scontrini sia solo l’ultimo di una serie interminabili di errori che il sindaco ha commesso in questi due anni di mandato.
La situazione sta a dir poco irritando Renzi, che sulla questione romana si gioca una parte del suo immediato futuro politico. Il premier, partito per il Sudamerica chiedendo a Orfini e Delrio di chiudere la questione entro il suo ritorno, non ha alcuna intenzione di riallacciare i contatti con il Campidoglio. Infatti sia Delrio che Orfini hanno l’indicazione di non rispondere alle richieste di Marino, e di portare avanti la linea predefinita: “non ci sono più le condizioni per proseguire”, come più volte in queste settimane ha spiegato proprio Orfini.
Se quindi Marino deciderà di portare avanti la propria battaglia in consiglio, due sono le possibili strade che il partito può imboccare. In primis una mozione di sfiducia, presentata immediatamente dopo la fine dell’intervento del sindaco, senza alcuna replica da parte dei consiglieri dem. Non a tutti i consiglieri pare che questa strategia piaccia, ma alla fine, hanno assicurato, “seguiranno la linea del partito”. In questo caso tutti gli assessori PD si tireranno fuori, e si cercheranno le ultime 6 firme (servono 25 adesioni, i consiglieri del PD sono 19) per legittimare la richiesta e far partire il nuovo count-down dei 10 giorni necessari per mettere al voto il documento. Al PD romano, però, questa linea non piace granchè, dato che si andrebbe a siglare un documento insieme ai nemici grillini o addirittura insieme all’ex sindaco Alemanno, una mossa politica tutt’altro che saggia. La seconda ipotesi sono le dimissioni di massa di tutto il gruppo consiliare del Partito Democratico, ma anche in questo caso serviranno altre 6 dimissioni per far decadere il consiglio comunale e portare la città alle urne la prossima primavera.
La partita sembra chiusa per il Partito Democratico, che pensa già alle mosse di una campagna elettorale importantissima (con città come Milano, Napoli, Palermo, Cagliari e, nel caso, Roma che vanno alle urne), mentre Marino è pronto a mettere in difficoltà il Partito, costringendolo a sfiduciare un sindaco che ha esso stesso eletto.
Francesco Di Matteo