E’ lo spettro degli economisti europei, e, cosa più importante, anche di Draghi, che da tempo ormai cerca di sconfiggerla senza successo. E’ la deflazione, ovvero quel fenomeno, quasi sconosciuto dal Dopoguerra, per cui i prezzi scendono invece di salire.
La BCE sta cercando di fare di tutto per riportare l’inflazione al 2%, e Draghi promette di riformare il Quantitative Easing e di usare ogni strumento necessario (un altro “whatever it takes”…) per raggiungere l’obiettivo.
La deflazione infatti secondo la teoria predominante è negativa per gli investimenti, visto che ci si aspetta prezzi e quindi ritorni in calo, soprattutto è deleteria per chi ha debiti, come moltissime banche, imprese e Stati in Europa, nel nostro caso per l’enorme debito pubblico.
Tuttavia secondo alcuni la deflazione non è per forza un male e nasce da fenomeni naturali come la globalizzazione e la maggiore concorrenza, oltre che dall’avanzamento tecnologico, e non è affatto detto che possa essere un danno per Paesi come l’Italia che storicamente hanno sofferto per decenni di un tasso d’inflazione stabilmente più alto dei partner europei e che hanno quindi perso in competitività moltissime posizioni.
Inflazione Italia a +0,2% a settembre
L‘Italia non riesce però ad avere un’inflazione minore della media Europea, essendo risalita allo 0,2 a settembre. Solo ad aprile era stata negativa, al -0,1%, e solo ad aprile e maggio era stata minore della media dell’Unione Europea, negli altri mesi, anche se di poco, i prezzi erano saliti più in Italia che altrove.
Come si vede i Paesi con una inflazione più alta hanno una crescita del reddito superiore a quella italiana, e non hanno problemi di competitività analoghi, con l’eccezione del Portogallo.
La Germania è in linea con la media europea, la Spagna, che sta segnando una crescita del PIL sorprendente, del +3%, vede invece una deflazione importante, del -1,2%.
Si deve però distinguere tra i prodotti, quello che cambia molto le statistiche è il costo dell’energia, in netto calo ovunque, ma non allo stesso modo. In Italia infatti il decremento è del 7,6, in Europa in media del 8,4%, -9,3% in Germania, -13,6% in Spagna e Grecia.
Sono dati da tenere a mente se pensiamo al grado di competitività che possiamo raggiungere, che non può non esulare dalle performances dei nostri principali partners e concorrenti. Considerando anche che i prezzi dei carburanti, per esempio, sono in Italia tra i più alti d’Europa.
Come risultato di questo fenomeno l’inflazione vera e propria con l’esclusione dell’energia è positiva quasi ovunque, in Italia sale del 1,1%, come in Germania, ma sempre più della media europea di +0,9%, una media abbassata dai valori di Francia, Spagna e Regno Unito.
Inflazione Italia, il cibo aumenta molto più che nel resto d’Europa
La gente però non vive di sola benzina, alcuni capitoli come cibo, abbigliamento, educazione sono basilari, e qui si vede la differenza tra il tenore di vita in un Paese, determinato dal maggiore o minore costo della vita, e altro.
Il cibo vede un aumento dell’inflazione in Italia del 1,5%, molto superiore della media europea del +0,4%. In questo anche Spagna e Grecia hanno un aumento dei prezzi alto, e superiore del nostro, mentre l’Inghilterra vede un calo pronunciato.
E’ curioso questo fenomeno, probabilmente dovuto a una maggiore attenzione al food nel Mediterraneo, una minore concorrenza, ed apertura a prodotti stranieri o di grandi catene.
Diverso il discorso per l’educazione, qui l’aumento dei prezzi è sì, ampio, del 2%, e quindi superiore alla media, ma inferiore alla media europea, che è del 2,9% e risente dell’enorme inflazione inglese in questo campo, +9,1%.
Segue Malta e l’Irlanda. Probabilmente la tradizione anglosassone dell’istruzione privata ha un ruolo importante, fatto sta che è l’unico campo in cui l’italiano medio non deve pagare rispetto all’anno scorso molto più di quanto paghino altri europei.
Situazione più tranquilla nell’abbigliamento, qui come nell’inflazione generale i numeri in Italia sono simili alla media europea +0,2% contro 0,1% nell’Unione Europea.
La curiosità qui è che c’è molta variabilità da Paese a Paese, passando da +4% a -4%.
In definitiva dopo anni l’inflazione in Italia non è più significativamente superiore a quella estera, con il seguito di perdita di competitività che questo fatto portava, tuttavia permane una piccola differenza a sfavore dell’Italia, più per la deflazione presente altrove che per spinte inflazionistiche interne, che seppur presenti, si pensi a una limitata concorrenza e alla mancanza di vere liberalizzazioni, sono minime.
La competitività italiana dovrà giocarsi in una maggiore produttività delle imprese, con più ricerca e investimenti, se non vogliamo che invece sia raggiungibile con una compressione dei salari reali, già inevitabile con la presente crisi economica.