Gabriele Muccino, Pasolini e la rete
La polemica sulle frasi di Gabriele Muccino a proposito di Pier Paolo Pasolini e delle sue capacità come regista è uno dei temi più interessanti della giornata. Ma cosa ha detto esattamente Gabriele Muccino? Ha scritto un post riportato qui, poi poco dopo cancellato (visti gli insulti che gli era costato).
Insomma che ha detto? In sostanza che Pasolini era un grande poeta e scrittore, ma che non era un regista, per lo meno non nasceva come tale e non aveva in quel campo il talento di altri grandissimi registi a lui contemporanei. Da qui si è scatenato il putiferio per l’offesa all’icona Pasolini celebrata a colpi di citazioni (a volte persino fasulle) su tutti i social. A questo poi Gabriele Muccino associa altre critiche al cinema italiano attuale, il cui declino sarebbe in parte causato appunto dall’opera cinematografica pasoliniana.
Chiariamo subito che le critiche al cinema italiano attuale sono in buona parte condivisibili ma lui, Gabriele Muccino, sebbene un suo stile ce l’abbia (Veltroni il suo modo di fare film lo chiamava il “muccinema”, però è chiaro che non stiamo parlando di Pietro Germi o di Mario Monicelli), non viene considerato da buona parte del pubblico dei social abbastanza in alto da potersi permettere di muovere alcuna critica a nessuno e in special modo a Pasolini.
Per quanto riguarda Pasolini è vero che era uno scrittore e poeta prima di essere regista, ma quello che aveva da raccontare valeva abbastanza da sopperire ad una tecnica cinematografica approssimativa. Il problema di chi è venuto dopo è che, in alcuni casi, non solo sapeva dirigere un film, ma non aveva nemmeno molto da raccontare. In altri viveva di trovate divertenti e leggere.
Il cinema subito dopo Pasolini (seconda metà degli anni 70) era il periodo dei cretini di talento (Benigni e Arbore), della smorfia napoletana (di Troisi soprattutto) che comunque avevano il pregio di sfornare qualche trovata geniale, cosa che li ha fatti molto amare al pubblico. Immersi nello stesso mare di film da botteghino che avevano dominato la scena nel periodo di Pasolini, come quelli di Bud Spencer e Terence Hill o di Adriano Celentano col contorno della commedia sexy all’italiana (che dalla metà degli anni 80 in poi avrebbe ceduto il passo alle varie “vacanze di Natale”) non sono certamente questi la causa del declino del cinema italiano. Niente a che vedere con le vette liriche di Pasolini, ma comunque in qualche modo erano a pieno titolo in un filone già consolidato del cinema italiano.
Se non sono questi film il bersaglio di Gabriele Muccino più probabilmente si tratta di Nanni Moretti, che come attore, a differenza degli altri citati, non si può dire che sia un fenomeno e come regista secondo alcuni è sopravvalutato. Il suo modo di fare cinema improvvisato ed intellettuale ha puntato molto su alcune trovate brillanti che sono rimaste nell’immaginario collettivo, ma non si è mai basato su una eccelsa tecnica di regia (per farsi una idea basti guardare in sequenza uno qualsiasi dei film di Sergio Leone seguito da uno qualsiasi di Nanni Moretti, il montaggio, la fotografia, ma soprattutto i primi piani e le riprese mostrano una differenza abissale per quanto concerne le qualità di regia). Eppure Moretti ha avuto molto successo, proprio in contrapposizione ai maestri del cinema come vediamo in questo video d’annata
Forse senza l’esperienza pasoliniana il cinema di Moretti sarebbe divenuto meno centrale e influente di quanto non lo sia adesso. Ma questo non ha cambiato di molto il destino del cinema italiano. Il declino è infatti più profondo, è un declino di prospettiva, di assenza di visione e speranza nel futuro, è declino demografico ed economico. Pasolini non c’entra proprio nulla, così come la miseria infinita dei vari “Manuale d’amore” (gli ultimi davvero inguardabili) non dipende minimamente da una mancanza di tecnica cinematografica. Quando si parla di musica i fan che strimpellano uno strumento ammirano soprattutto i virtuosismi tecnici che i chitarristi fanno con le corde della loro chitarra, ma poi si scopre che il successo vero non dipende dalla tecnica con la quale si toccano le corde ma dalla melodia e dall’arrangiamento. Muccino ha quindi torto, non perché Pasolini fosse un regista bravo come Rossellini, macché, ma perché il declino del cinema italiano non è assolutamente colpa sua, deriva da qualcosa di più grosso che ci ha trascinati tutti verso il basso. A voler guardare bene l’unico con un pochino pochino di questa tecnica cinematografica in Italia in questo momento non è nemmeno Muccino (che comunque ha fatto anche qualche film godibile), ma Ozpetek che tra l’altro non è nemmeno italiano…
A margine di tutto questo ci sarebbe da aggiungere che non c’era affatto bisogno di dargli addosso per quel post su Facebook come è stato fatto. I social a volte sembrano uno sfogatoio dove comuni cittadini danno il peggio di sé dando addosso a uno o all’altro, ognuno pronto ad aggredire con disprezzo e livore chiunque appaia a terra dopo uno scivolone, quasi come se fosse una occasione imperdibile per vendicarsi del suo successo. Si è visto con il caso molto simile della povera Miss Italia e del suo riferimento al 1942. Una trasmissione mostrò come molti dei suoi più accaniti detrattori erano persino più ignoranti di lei, ma questo non gli aveva impedito di insultarla e sminuirla.
Ecco, proprio questo comportamento, molto più della qualità dei film prodotti in Italia, è il vero termometro del declino. Milioni di persone che inveiscono sui social network ogni giorno contro tutto e tutti, condividendo insulti di ogni genere per qualsiasi motivo, pronti a chiedere le dimissioni di chiunque al grido “vergogna” magari sulla base di notizie completamente false. Il declino del cinema in tutto questo è solo uno dei tanti sintomi, e nemmeno il più importante, di un disagio più profondo, che molti ancora non hanno capito, e per il quale al momento nessuno ha trovato ancora alcuna risposta.