“Non mi sentivo molto utile in questo momento”, questa l’amara spiegazione di Roberto Perotti data ieri sera a Beppe Severgnini durante la sua trasmissione su Rai Tre “L’erba dei vicini” riguardo la recente decisione – risalente a sabato scorso – di dimettersi dall’incarico di commissario alla Spending review.
Come forse ricorderete, il professore di economia politica della prestigiosa Università Bocconi non è il primo a dimettersi da questo incarico; prima di lui infatti a rinunciarvi fu Carlo Cottarelli. Perotti aveva ricevuto dal premier Matteo Renzi, insieme anche al deputato Pd Yoram Gutgeld, il compito di seguire i tagli alla spesa pubblica.
Un addio annunciato
La notizia non arriva del tutto inattesa: le prime “avvisaglie” di insofferenza erano già giunte quando il presidente del Consiglio, agli sgoccioli della presentazione della Legge di stabilità, aveva fatto intuire al professore ed al deputato Gutgeld che le loro indicazioni sui tagli alla spesa improduttiva non sarebbero state seguite proprio alla lettera, anzi. Però Renzi aveva cercato subito di rimediare, chiedendo a Perotti di restare e promettendogli un mandato politico più forte. “Sono ancora operativo”, rassicurava infatti il bocconiano.
Poi però il testo della Legge di stabilità è uscito e Perotti, di fronte a quei soli 8 miliardi di risparmi da spending review contro i 10 previsti per il 2016, non ci ha visto più. Ma la goccia che ha fatto davvero traboccare il vaso è stata la decisione di Renzi di non intervenire sulle “tax expeditures” – le agevolazioni fiscali – sulle quali proprio Perotti aveva tanto lavorato. Quel giorno il premier aveva comunque lodato il suo impegno: “Perotti ha svolto un lavoro molto utile, soprattutto sui dirigenti della P.a.. Spero continui a lavorare con noi perché il suo lavoro è decisamente prezioso”. Parole pronunciate un mese fa che, si vede, non hanno né commosso e né convinto il commissario, il quale ha deciso di seguire le orme del suo predecessore nominato dall’ex premier Enrico Letta.