Ttip: su cosa si gioca il futuro del commercio tra Usa e Ue
Ad inizio ottobre si è positivamente concluso l’accordo per la creazione di un libero mercato per il commercio e lo scambio dei beni e dei servizi tra gli Stati Uniti d’America e undici economie del contrafforte pacifico del mondo: il Trans-Pacific Partnership. Tale trattato, ratificato ad Atlanta dopo lunghi mesi di trattative e colloqui quale atto di nascita di un cartello commerciale unico che comprende – tra gli altri Stati – Messico, Australia e Giappone, prevede di abbattere le barriere commerciali in entrata e in uscita, presenti all’interno delle singole produzioni nazionali, e di implementare l’occupazione tramite la creazione di una unica area economica vasta generante poco meno del 40 per cento del Pil mondiale. La medesima tipologia di concordato tra Usa e Unione europea, il Transatlantic trade and investment partnership (Ttip), rischia per converso di non giungere in tempi strettissimi.
Ttip e prodotti a marchio Dop e Igp: una difficile convivenza
Quasi tutti sono al corrente dell’importanza della qualità dei prodotti dall’origine protetta, marchio Dop e Igp, per la filiera italiana del consumo: molti ne sono anche dei ghiotti estimatori. Pochi tuttavia hanno precisa cognizione di quanto possa valere la loro effettiva incidenza all’interno del ciclo macroeconomico internazionale. Negli anni l’export tricolore è stato uno dei valori di mercato di riferimento, per i virtuosi di scienza economica una esternalità positiva, che, grazie anche alle variabili esogene dello scenario mondiale, i prezzi del greggio bassi, il tasso di cambio dell’euro accomodante e la forte iniezione di liquidità valutaria sostanziata dalla Banca centrale europea, il Quantitative Easing, ha tenuto in piedi un sistema di produzione fortemente gravato dalla grande crisi economica e finanziaria partita nel 2008 dalla virulenza corrosiva dei prestiti Subprime. La prima ragione per la quale il Ttip oggi rischia seriamente di non giungere a conclusione secondo i desiderata di Unione europea e Stati Uniti d’America è il forte contrasto tra i Paesi produttori di beni a denominazione d’origine protetta, ad esempio l’Italia, e Stati con pochi vincoli di mercato e consumo dei prodotti, leggasi gli Usa. I processi di etichettatura costano: ne giova la qualità, ma tali parametri fanno lievitare i prezzi del bene al consumo. Gli americani non sembrano intenzionati a piegarsi all’implementazione di procedimenti simili i quali rischierebbero di favorire, in un ipotetico mercato unico, l’offerta del Vecchio continente.
Ttip, Usa e Ue: bilanciamento di potere e azione
Il secondo grande problema che ritarda ancora la ratifica del Ttip tra Usa e Ue, con somma felicità della crescente opposizione costituita da parte del tessuto produttivo pubblico e del mondo del lavoro d’impresa che a tale trattato guarda con estrema sfiducia e scetticismo, riguarda invece la potenziale applicazione di una clausola specifica di azione, sanzione e controllo del commercio tra le multinazionali produttrici e gli Stati. Si tratta della clausola Isds (Investor state dispute settlement). Grazie a tale cavillo, in caso di contenzioso tra le parti, le imprese americane si troverebbero libere di citare in giudizio gli Stati e le leggi considerate un ostacolo ai profitti del potenziale mercato unico: secondo l’Unione europea, un vantaggio troppo grosso e troppo sbilanciato verso le aziende a stelle e strisce le quali finirebbero per acquisire un potere contrattuale d’azione eccessivo.
La conferenza di Miami e l’avanzamento dei negoziati
Recentemente, dal 19 al 23 ottobre, si è svolta a Miami l’undicesima tornata negoziale per la definizione potenziale del Ttip. Bruxelles era chiamata a presentare una nuova proposta di arbitrato differente dalla clausola Isds, la qual cosa non sembra però essere riuscita a causa del sostanziale disaccordo tra Usa e Ue. A testimonianza di quanto il Ttip possa essere ancora di là da venire, a margine dell’incontro, le parole del commissario europeo per il Commercio internazionale Cecilia Malmström, “le cose si stanno muovendo ma ci vorrà ancora tempo”, hanno allargato ulteriormente le pieghe di una gestazione che si prospetta essere assai complessa. I prossimi colloqui, previsti inizialmente in Europa per dicembre, sono stati rinviati a febbraio.
Riccardo Piazza