Come si finanzia l’ISIS? Tutte le fonti dello Stato del terrore
Una delle principali differenze tra quanto avvenuto a Parigi con gli attentati devastanti di venerdì 13 e altre analoghe azioni è che i mandanti questa volta vengono da un luogo fisico, da uno Stato, come era un tempo prima delle guerre asimmetriche post 11 settembre.
Se Al Qaeda era una rete di nuclei terroristi spesso autonomi che usavano l’organizzazione di Bin Laden come brand e cappello anche per acquisire prestigio e credibilità nella rete mondiale del terrore, l’ISIS è uno Stato di decine di migliaia di kmq con 7-8 milioni di abitanti. Uno Stato in guerra. Ma come riesce ad andare avanti la vita quotidiana di questa nazione che ci appare aliena? Come si finanzia? Un piccolo ma non esaustivo riassunto:
Come il Qatar finanzia l’ISIS direttamente o indirettamente
La domanda che sempre risuona nei media internazionali è “Chi finanzia l’ISIS?”, quali Paesi più o meno segretamente danno dollari ad Al Baghdadi e ai suoi? Anche ultimamente la Russia ha denunciato i 40 Paesi, alcuni anche del G20 che fanno arrivare direttamente o indirettamente risorse al Califfato.
Chiaramente non è un mistero il flusso di dollari proveniente da Stati e uomini d’affari, normalmente con ottimi agganci governativi, dei regimi sunniti della Penisola Arabica.
Il Qatar è uno dei Paesi la cui immagine è maggiormente esplosa negli ultimi anni; dopo essersi aggiudicati addirittura i Mondiali del 2022, e investendo miliardi in progetti immobiliari e in business in tutto il mondo, compresa Milano, ha saputo vendersi come Paese ultra moderno e proiettato verso il futuro con i suoi grattacieli scintillanti, il primo posto nel ranking mondiale del PIL procapite, una testata, Al Jazeera, che attrae professionisti occidentali e cerca di rappresentare il mondo dei media arabi nel mondo.
Con Al Jazeera e con i dollari la monarchia qatariota, che rimane sostanzialmente feudale, ha appoggiato le primavere arabe, sostiene ora assieme alla Turchia il governo di Tripoli in Libia, contrapposto a quello legittimo di Tobruk, e soprattutto finanzia l’opposizione all’odiato Assad, alawita, quindi sciita come i nemici iraniani, mandando dollari secondo il Telegraph a gruppi come Ahrar al-Sham, tramite l’uomo d’affari Abdul Rahman al-Nuaimi.
Ahrar al-Sham combatte a fianco di Al-Nusa, il braccio di Al Qaeda in Siria, ha trasformato la lotta ad Assad in una missione di islamizzazione del Paese e al tempo della conquista di Raqqa ha assistito l’ISIS stessa in questa impresa.
A parte l’intervento di questo o quel uomo d’affari privato, il Qatar e le altre potenze dell’are normalmente affidano le proprie risorse a faccendieri e mediatori in Turchia che acquistano armi in Croazia o altri Paesi del’Est.
Se anche non vi sono soprattutto ora diretti finanziamenti all’ISIS, in realtà si sa benissimo che tutti i dollari e soprattutto le armi consegnate ad Al-Nusra spesso sono finite nelle mani del Califfato per la costante sostituzione sul campo delle brigate di Al Nusra con quelle dell’ISIS che ne assorbono non solo gli uomini, ma anche gli arsenali.
Il grosso dei proventi dell’ISIS vengono da petrolio e gas naturale
Tutti gli analisti tuttavia sono concordi sul fatto che i finanziamenti esterni nel caso dell’ISIS sono secondari, a differenza di Al Qaeda l’ISIS si è esposto maggiormente, volendo rendersi Stato e non solo organizzazione, puntando quindi a porsi alla pari rispetto ai Paesi della Penisola Arabica, rendendo difficile un appoggio esplicito.
No, la collocazione tra le pianure e i deserti della Mezzaluna Fertile e non tra le montagne afghane rende l’ISIS più autonomo, e soprattutto consente di sfrutare la risorsa principe di quell’area, il petrolio.
Nel 2014, prima dell’intervento più massiccio dei raid americani e di quelli russi lo Stato Islamico riusciva a ricavare, secondo il Washington Institute, 2-3 milioni di dollari al giorno dalla vendita di petrolio, i due terzi di tutte le entrate. Grazie a queste risorse l’ISIS poteva pagare i suoi combattenti circa 400$ al mese, più di quanto facciano i gruppi ribelli siriani (e non a caso ci sono state defezioni verso l’ISIS) e lo stesso governo irakeno.
Van che viaggiano la notte nel deserto, muli, barche sui fiumi, anche un oleodotto clandestino di alcuni km scoperto dai turchi, moltissimi sono i metodi per contrabbandare il petrolio crudo in Turchia, Kurdistan, Siria stessa.
Sì perchè spesso il petrolio contrabbandato a prezzi super-scontati sui 25$ a barile (secondo il Wall Street Journal), viene gestito da trafficanti curdi, turchi, siriani, irakeni e rivenduto magari annche al governo siriano stesso, anche se il greggio proviene proprio dai giacimenti di Raqqa o Deir Ezzor in mano all’ISIS, che possiede appunto il 60-80% del petrolio siriano e il 10% di quello irakeno.
Vi è tutto un sistema di mediatori e faccendieri che vivono fuori lo Stato Islamico ma vi lavorano insieme volentieri per fare profitti, spesso con l’esperienza degli anni di contrabbando del petrolio irakeno in violazione delle sanzioni economiche negli anni di Saddam, e quindi con la complicità di ex dirigenti del partito Baath.
Altri, i lavoratori degli impianti occupati, sono costretti a collaborare con lo Stato Islamico
Nel 2015 però a causa dei raid contro lo Stato Islamico e della stretta nei controlli dei curdi il gettito di questa fonte di reddito sarebbe scesa a circa 750 mila – 1,3 milioni al giorno.
Second Thomson-Reuters tuttavia non di solo petrolio vive l’ISIS, che occupando un vasto territorio tra Siria e Iraq è riuscito a impadronirsi di impianti di gas naturale, di fabbriche di produzione di acido solforico e fosforico nell’Ovest Irak, di 5 cementifici, di silos di grano e orzo provenienti dalle pianure più fertili dell’Irak, quelle della piana di Mosul.
Sono tutte ulteriori fonti di reddito per il commercio, si presso il mercato nero che che ne viene fatto:
Dal gas naturale: 500 milioni di $
Dalla produzione di acido: 300 milioni di $
Dai cementifici: altri 300 milioni di $
Da grano e orzo: 200 milioni di $
Le cifre sono tutte prudenzialmente dimezzate rispetto a quanto renderebbero normalmente a prezzi di mercato.
“IMU” sui terreni agricoli, pedaggi stradali, estorsioni da rapimenti, le fonti interne dell’ISIS
La seconda fonte di finanziamento dopo le fonti energetiche sarebbero i rapimenti, che nel 2014 hanno fruttato 20 milioni di dollari, giornalisti stranieri, operatori di ONG, persone da cui si ricava più vantaggio chiedendo un riscatto per la loro liberazione che decapitandoli davanti a una telecamera.
Secondo altre fonti tuttavia considerando i rapimenti di benestanti locali si raggiungerebbero cifre anche molto più alte.
La principale fonte interna, in aumento, è la “politica fiscale” che in quanto Stato l’ISIS ha messo in atto, anche se è piuttosto particolare.
In sostanza le principali entrate provengono da:
– pedaggi dai camion sulle strade interne, sui 200$, cui si aggiungono 700€ per l’attraversamento delle frontiere
– l’IVA sui beni
– il 5% di imposta sul reddito per tutti, 10% per i non musulmani, e il 50% sugli stipendi che funzionari irakeni rimasti nei territori occupati dall’ISIS ricevono da Baghdad. 300 milioni totali di entrate da queste voci
– Una tassa sulle aziende di telecomunicazioni
– Una tassa sui ritiri di liquidità dalle banche
– La jizya di “protezione”, un pizzo per i non cristiani che vogliono continuare a vivere nel Califfato
– Una percentuale sul saccheggio di resti archeologici, che va dal 20% di Aleppo al 50% di Raqqa. 20 milioni di dollari sono ricavati in questo modo
Secondo il giornale economico francese Challenges nel 2015 l’ISIS è riuscito ad aumentare le proprie ricchezze di 200 milioni di dollari proprio per la maggiore efficienza in questa politica fiscale interna, a dispetto delle maggiori difficoltà nel ricavare fondi dal contrabbando di petrolio.
A differenza di altre organizzazioni terroristiche del passato quindi l’ISIS è sempre più dipendente dal possesso di un territorio, e più di quanto poteva esserlo con Al Qaeda sembra diventare quindi più importante privarlo letteralmente della terra sotto i piedi per poterlo fermare.