ISIS a Parigi: chi ci/si salva?
Senza alcuna pretesa di esaustività, proponiamo di seguito 22 quesiti per elaborare a mente lucida quanto compiuto per mano criminale di ISIS a Parigi. Non intendiamo fornire alcuna risposta definitiva, ma preferiamo raccogliere alcuni interventi sparsi che in questi giorni circolano sul web e possono essere spunti per riflessioni con differenti chiavi di lettura. Non stupitevi quindi se troverete anche provocazioni e paradossi, perché siamo convinti che il paradosso sia lo strumento privilegiato per smascherare le menzogne e per discernere la ragione sana dalla ragione distorta, come sosteneva Gilbert K. Chesterton. Scuserete la lunghezza del nostro intervento, ma è un indispensabile percorso catartico.
1. C’è uno scontro di civiltà?
Sono quindici secoli che si parla di rapporto conflittuale tra la cristianità – o i suoi epigoni – e il mondo arabo-musulmano. Scontro di civiltà: sì ma anche no e forse forse. Ne riparleremo in fondo. Certo è che “le condanne unilaterali che si levano in Occidente non aiuteranno a far evolvere le cose. Piuttosto, assistiamo ad un fenomeno esattamente inverso: le popolazioni musulmane si convincono del carattere islamico di queste pratiche proprio a causa delle reazioni di rigetto dell’Occidente verso di esse, in base ad un ragionamento binario e semplicista che sancisce che ‘meno è occidentale, più è islamico’ […] la rivendicazione dell’universale in Occidente non può permettersi di risparmiarsi la comprensione dell’altro, la logica del suo sistema di pensiero e i cammini che lo conducono all’universale comune. Sul piano politico, è imperativo che cessino le denunce a geometria variabile: sia che si tratti di paesi poveri o ricchi, di paesi alleati o nemici, il rifiuto delle ingiustizie deve compiersi senza alcuna concessione” (Tariq Ramadan, 2005). E, soprattutto, si tenga bene a mente che “in prima linea contro le bestie dell’Isis ci sono ragazzi siriani, mica italiani, francesi, olandesi, spagnoli o tedeschi. Ci sono bravi musulmani siriani, accanto ad altrettanti bravi musulmani libanesi e iraniani” (Adriano Scianca).
2. C’è bisogno di un nemico?
Se considerassimo tutte le violenze dalle storia – dalla notte di San Bartolomeo, alla furia nazista, dall’eccidio romano dei giudei all’Inquisizione, dalle Crociate alla minaccia nucleare che ha fatto da basso profondo dell’intero Novecento – se le considerassimo come frutto dell’intolleranza, allora con Benedetto Croce diremmo “ahimé, tutta la storia sarebbe frutto di ‘deformità morale’, poiché tutta la storia è intollerante”. Il nemico di questi giorni, se c’è, è tuttavia assai vicino. Che non siamo forse noi stessi? “Il percorso verso il radicalismo islamista si nutre di marginalità e piccola delinquenza. L’ex rapper che diventa stragista dimostra come si possa passare attraverso un sottoprodotto della cultura occidentale — inserito in un contesto di devianza che deriva da precise condizioni sociali — e, alla fine del percorso, subire una duplice crisi di identità e di senso. Non sentirsi più appartenere completamente né alla cultura occidentale, avendone vissuto solo i sottoprodotti o le tecnologie, né alla cultura islamica che con regole rigide dà senso ad ogni cosa. Il risultato è un vuoto di identità che alcuni cercano di colmare con l’Islam radicale. Che affascina come certe ideologie rivoluzionarie nel secolo scorso” (Renzo Guolo). Non per niente s’è detto che “il terrorismo è agitato da un desiderio esacerbato di convergenza e rassomiglianza con l’Occidente. L’Islam ci sottopone alla sfida un tempo intrapresa dal marxismo” (René Girard).
3. Che cosa lega l’ISIS e la crisi dei valori in Occidente? E l’ISIS e i valori dell’Islam?
L’ISIS da un lato è la reazione virulenta al nichilismo occidentale, all’idea del tutto negoziabile tranne la negoziabilità stessa. È la reazione a una lunga serie di vittorie – vittorie che, analogamente alla guerra, è facile che siano indice di forza più che di giustizia – che hanno stremato l’avversario fino a che questo non ha fatto saltare il tavolo: al contempo l’ISIS, nella sua spettacolarità hollywoodiana, è l’apoteosi del nichilismo occidentale: arrogante, ateo e bestemmiatore. Ormai solo Allah ci può salvare?
Per altro verso l’ISIS è la più matura manifestazione di quell’Islam politico che sorge all’inizio del ‘900 a rinnegare il quietismo dei precedenti quattordici secoli di storia: non più “una teoria dell’obbedienza al principe che legittima il governante che conquista e conserva il potere. Unica condizione: la difesa della comunità mussulmana dai nemici esterni e il permesso di assolvere gli obblighi di fede”; ma qualcosa di diverso, “una concezione universalizzante del combattimento per la fede: l’islam è vissuto come combattimento non solo morale e spirituale ma anche militare e missionario” (Renzo Guolo). Così fino a giungere a Sayyid Qutb, figura cardine dell’attuale dottrina fondamentalista, autore dei suoi testi durante la prigionia ai tempi del governo Nasser. Per Qutb, che, lungi da un approccio teologico, muove da una lettura tutta mondana della condizione dell’Islam nel mondo, “il vero diritto è invece un diritto dinamico creato da uno sforzo di interpretazione che ha come obiettivo la rinascita dell’Islam. La teorizzazione del diritto di necessità apre spazi teologicamente nuovi ai combattenti islamisti che li autorizzano a comportamenti inauditi per la tradizione lunga mussulmana”. È questa “nuova” tradizione, che passa poi per il martirio sciita sotto le insegne di Khomeini, per i martiri sunniti di Palestina e giunge infine a noi, che è oggi oggetto delle fatwa della quasi totalità del mondo sapienziale islamico.
4. Quali sono i nostri valori da difendere?
Altrimenti, se per valore s’intende ciò che deve essere e non è, ciò che non va sterilmente presidiato ma attivamente realizzato, allora il nostro valore è quello della “fratellanza”, il grande dimenticato della Rivoluzione.
5. Disumanità o umanità?
“L’umanità in noi non è mai un mero dato di fatto (tant’è vero che quando è solo questo l’abbiamo già persa o ci viene subito rubata); essa è piuttosto un’esperienza vissuta, che va ogni volta ricercata e “coltivata” in ciò che la rende irriducibile, insoffocabile, potente pur nella sua vulnerabilità. Anzi: potente perché vulnerabile. Noi siamo in fondo un bisogno che non si acquieta, di stare nel rapporto con l’«altro». Un altro che torni a dirci, e a farci certi, che non morirà mai” (Costantino Esposito). Per altro verso, si consideri anche che “per dirla brutalmente, la guerra, è una forma di odio istituzionalizzato. Ciò significa che in quanto istituzione va gestita con intelligenza e prudenza. Quindi il problema non è la disumanizzazione del nemico, fenomeno che ha natura scalare perché racchiuso, piaccia o meno, nel DNA dei meccanismi sociologici dell’odio umano. Perciò dichiarare la disumanità del fondamentalismo islamista va benissimo sul piano militare e della retorica bellica, a patto però di passare subito all’azione” (Carlo Gambescia).
6. Chi genera mostri? Il sonno della ragione o della religione?
“La violenza che vorremmo attribuire alla religione è in realtà la nostra violenza, e dobbiamo affrontarla direttamente. Trasformare le religioni in capri espiatori della nostra violenza può, alla fine avere solo l’effetto opposto” (René Girard).
“Siete sicuri che il male stia nella religione o piuttosto nell’assenza di questa? Io credo che i terroristi dell’IS, ma anche tutti coloro che compiono il male nel nome di Dio o sostituendosi ad esso (ce ne sono tanti anche di fede Cristiana in questo senso), non conoscano minimamente né la religione né la fede né il messaggio di Dio per l’uomo e per l’umanità” (Lorenzo Banducci).
7. Bastardi islamici?
“I tagliagole sono bestemmiatori dell’Islam. Fino a quando non sarà chiaro ciò, non ci sarà speranza di vincere contro di loro. È doppiamente vero che il terrorismo è il primo nemico dell’Islam. Ed è tre volte vero che la carambola d’odio va a concludersi nel gioco delle parti. […] All’opposto della Tradizione non c’è più la sinistra, ma la destra del Bar Sport e il fanatismo che fa di Dio un’ideologia. A far strame del Sacro, infatti, concorre sia chi – sostituendosi al Giorno del Giudizio – semina la morte, sia chi confonde l’odio per la rabbia e l’ignoranza per l’orgoglio […] Se il musulmano è un bastardo, per come si legge nei giornali, un coltello addosso prima o poi se lo ritrova. L’odio dà voce alla sorgiva di questi e quelli, i terroristi e gli avvinazzati del Bar Sport per i quali il Dio, Patria, Famiglia, il motto sacrissimo di don Camillo, è ridotto a un rutto senza A e senza BA, lo sbotto del folclore liberale (Benedetto Croce inorridisce) il cui fetore oggi ammorba qualunque tentativo della destra di darsi un pensiero, una riflessione e un’analisi che vada oltre la Fenomenologia del Maialino” (Pietrangelo Jafar al-Siqilli Buttafuoco).
8. Perché uccidono?
È vero che “come il cristianesimo l’Islam riabilita la vittima innocente, ma – a differenza di quest’ultimo – lo fa in maniera guerresca. La croce è il contrario: è la fine dei miti violenti ed arcaici” (René Girard); tuttavia non si dimentichi che sull’altro campo i martiri sono “semenza del cristianesimo”; e che, dinanzi all’impossibilità di capire un diverso e millenario rapporto con la morte, resta il punto: “Per quasi trent’anni l’Occidente ha violentato terre altrimenti pacifiche, sterminando innocenti, donne incinte, depredando materie prime, risorse e lasciando bambini abbandonati crescere nella solitudine, nella disperazione e nel desiderio di vendetta. Quando sei un orfano iracheno che a nove anni ha raccolto dal muro di casa il cervello di sua madre a causa della democrazia occidentale sganciata dagli F-16, lo Stato Islamico non ti fa orrore: ti riempie il cuore della speranza di una giustizia troppo a lungo negata” (Silvia Layla Olivetti).
“Ci sarà sempre chi tenderà ad autoghettizzarsi pensando di aver subito, a torto o a ragione, una grave ingiustizia, che risale al momento in cui i suoi genitori o i suoi nonni sono emigrati e che poi è proseguita con una storia di emarginazione e sradicamento. L’emigrazione, volenti o nolenti, si porta dietro anche percentuali di persone che, in un misto di rivalsa e frustrazione, assieme al desiderio di sentirsi finalmente “qualcuno”, abbracciano qualche ideologia – e ribadisco “ideologia” – nella quale la religione è un puro pretesto per sfogarsi” (Enrico Galoppini).
9. Soldi soldi soldi?
Sì e no: sì, nel contesto di una valutazione complessiva degli interessi in gioco in questa guerra a doppia mandata che con Papa Francesco diciamo ha davvero i caratteri di una terza guerra mondiale; no, assolutamente no, se guardiamo alla radicalizzazione personale dei singoli terroristi: “Paradossalmente però quella tendenza nichilista all’auto e all’etero distruzione, quell’essere per la morte che è stata presente nei giovani di molte generazioni, trova giustificazione nell’ideologia islamista che fornisce obiettivi e finalità” (Renzo Guolo). Appiattire tutto sul piano economicista qui non ci può aiutare, perché una tale ideologia è capace di superare ogni calcolo di convenienza economica. E però, altrettanto chiaramente diciamo che “nessuna guerra di religione ha le sue cause nella religione stessa: c’è sempre un «substrato» di oppressioni, conflitti di potere, strategie economiche. E ricchezze troppo grandi, e troppo grandi miserie. Ma quando il «codice» della religione (o della «controreligione») se ne appropria, la crudeltà può eccedere ogni limite, perché il nemico diventa anatema” (Étienne Balibar).
10. Lo Stato Islamico è davvero uno stato?
“Potrebbe sembrare paradossale il fatto che, da un lato, il Califfato abbracci questa concezione universalistica e anti-statale, e dall’altra si definisca come Stato, anche se islamico. Assistiamo ad una ambivalenza di fondo, in cui opposti in apparenza inconciliabili si coniugano all’interno di una entità politica e territoriale fondamentalmente incoerente e anacronistica, che tuttavia non manca di suscitare interessanti spunti di riflessione” (Federico Ramaioli, in corso di pubblicazione). “La Siria non è dei Siriani, e l’Iraq non è degli Iracheni. La Terra è di Dio” (Al-Baghdadi). Lo Stato Islamico è riconducibile alla forma-stato con riguardo alla sovranità interna, con riguardo al controllo immediato, diretto ed efficace sul territorio; è tutt’altro, è un Califfato, con riguardo invece alla sua proiezione esterna, al suo intrinseco universalismo, al suo rivolgersi all’intera Umma globale, da Raqqa a Parigi, da Kuala Lumpur ad Abuja. Ma d’altro canto cosa sono gli Stati, oggi? “Il radicale rigetto della concezione di una sovranità limitata unicamente ai confini territoriali” è “ormai qualcosa di acquisito per la nostra contemporaneità e per la stessa comunità internazionale nel suo insieme” (Federico Ramaioli); che di volta in volta colora quel rigetto dei più spiccati tratti etico-ideologici, attorno a cui nuovamente rinserrarsi. Così che l’anti-nazionalismo e l’anti-patriottismo del Califfato, a loro volta pregni di disfida ideologica, ne sono solo la più autentica e radicale espressione. Tutto ciò, inoltre, sembra pienamente rispondere a quella che è stata definita l’“infelicità araba”. Essa ha questo di particolare: “che la provano quelli che altrove parrebbero risparmiati, e ha a che fare, più che con i dati, con le percezioni e con i sentimenti. A iniziare dalla sensazione, molto diffusa e profondamente radicata, che il futuro è una strada costruita da qualcun altro” (Christian Elia).
11. Li finanziamo noi?
“Esistono delle complicità finanziarie ed economiche tra il Califfato e alcuni stati alleati dell’Occidente, tra cui Turchia, Arabia Saudita e Qatar. Quello che l’Is sta facendo al livello geografico è di ridisegnare il territorio di Iraq e Siria a favore dei paesi citati e a discapito di Assad. Il Califfo però è sempre più forte, tanto da poter porre le condizioni ai propri alleati” (Franco Cardini).
12. Quale complotto c’è sotto?
“Dura la vita del complottista. Ma è stato un complotto di Obama per spingere Hollande a bombardare di più o un complotto di Putin per suggerire a Merkel di lasciare fare a lui? Un complotto di Hollande per modernizzare l’offerta musicale nazionale oppure ancora un complotto di Netanyahu per far togliere le etichette dai pompelmi? Forza dai, non potete lasciarci così senza nemmeno uno straccio di ipotesi” (Stefano Azzarà).
13. Veramente esiste un Islam radicale e un Islam moderato?
“Non lo chiamerei “radicalismo”, perché se andassero davvero “alla radice” dell’Islam troverebbero ben altro che le loro atrocità. Chiamiamolo, al limite, estremismo o fanatismo. Il problema, comunque, è molto sentito, anche se, grazie a Dio, non ho mai visto Imam o predicatori che promuovono il terrorismo, ed anche i casi giudiziari in proposito, dopo i soliti titoloni sui giornali, si sono spesso rivelati buchi nell’acqua. Questo fanatismo si alimenta, in realtà, prevalentemente su internet e chi ci casca sono spesso persone isolate, che di solito nemmeno frequentano le moschee. Il modo migliore di affrontarlo è quello di confutarlo a livello teologico e scritturale, ed in tal senso con altri musulmani stiamo collaborando per diffondere la conoscenza dell’Islam ortodosso, perché la conoscenza autentica dell’Islam è l’arma più efficace contro queste dottrine aggressive, che a livello religioso sono vere e proprie eresie” (Patrizio Yusuf Bosco).
14. L’ISIS avanza in Europa?
“L’Isis non avanza in alcun modo perché semplicemente non esiste così come ce lo raccontano. Questo spauracchio serve ad un sacco di cose, tra le quali – non ultima – un’esigenza estrema di tenere lontani gli occidentali dalla spiritualità tradizionale islamica. La quale, come si stanno sforzando di provare anche alcuni rari onesti commentatori che hanno accesso alla stampa più o meno ufficiale, è assolutamente inserita in quel filone sapienziale che origina dalla notte dei tempi e sul quale s’innestano tutte le tradizioni ortodosse. Tra queste ed ogni fenomeno modernista esiste un’inconciliabilità di fondo, perché ogni “riformismo” altro non è che concessione all’errore, anche se a questi sedicenti “fondamentalisti” piace tantissimo affibbiare ai musulmani tradizionali l’accusa di bid‘a (“innovazione”, cioè “eresia”), se non addirittura quella di kufr (“negazionismo”, ovvero il misconoscimento dei fondamentali dell’ortodossia)” (Enrico Galoppini).
15. Cosa dice l’Islam sui cristiani?
“Coloro che credono, i giudei, i sabei o i nazareni e chiunque creda in Allah e nell’Ultimo Giorno e compia il bene, non avranno niente da temere e non saranno afflitti” (Sura 5:69). “Dialogate con belle maniere con la gente della Scrittura, eccetto quelli di loro che sono ingiusti. Dite [loro]: ‘Crediamo in quello che è stato fatto scendere su di noi e in quello che è stato fatto scendere su di voi, il nostro Dio e il vostro sono lo stesso Dio ed è a Lui che ci sottomettiamo’” (Sura 29:46).
Purtroppo circolano interpretazioni errate a proposito del passo seguente: “Per questo abbiamo prescritto ai Figli di Israele che chiunque uccida un uomo che non abbia ucciso a sua volta o che non abbia sparso la corruzione sulla terra, sarà come se avesse ucciso l’umanità intera. E chi ne abbia salvato uno, sarà come se avesse salvato tutta l’umanità. I Nostri messaggeri sono venuti a loro con le prove! Eppure molti di loro commisero eccessi sulla terra. La ricompensa di coloro che fanno la guerra ad Allah e al Suo Messaggero e che seminano la corruzione sulla terra è che siano uccisi o crocifissi, che siano loro tagliate la mano e la gamba da lati opposti o che siano esiliati sulla terra: ecco l’ignominia che li toccherà in questa vita; nell’altra vita avranno castigo immenso, eccetto quelli che si pentono prima di cadere nelle vostre mani” (Sura 5: 32-34).
Va sottolineato il fatto che ciò riguarda “coloro che fanno la guerra ad Allah E al Suo Messaggero E che seminano la corruzione sulla terra” (chi semina morte, i terroristi, innanzitutto). Gesù nel Vangelo usa un linguaggio altrettanto forte quando dice che per alcune persone è preferibile gettarle in mare con una macina al collo. E ai miracoli di Gesù e alle piaghe d’Egitto si riferisce quando si parla di prove; la Sura è appunto dedicata alla disobbedienza nei confronti della Bibbia e dei Vangeli. Secondo la stimata autorità esegetica di Yusuf al-Qaradawi, Abi Kulaba diceva che si riferisce agli apostati. La lista delle punizioni – alternative – dipende dalla gravità delle circostanze: Dio, il Clemente e il Misericordioso, prescrive innanzitutto la misericordia e in ogni caso deve essere data la possibilità di pentimento. L’Imam Malik, fondatore della scuola giurisprudenziale Maliki, quando gli furono chieste delucidazioni sulla crocifissione disse che non c’è una singola colpa per cui sia stata prescritta, il che probabilmente la rende un mero deterrente, mentre chi si parla sempre di crocifissione nel Corano è sempre il disobbediente Faraone che perseguitava gli ebrei (7:124, 20:71, 26:49). Risulta comunque chiaro che nell’Islam è fatto assoluto divieto di agire in modo violento indiscriminatamente, tanto più nei confronti di persone innocenti.
16. Salvini e Al-Baghdadi: se il problema fosse la legittima difesa?
Poiché sia l’Ordinamento della Repubblica Italiana sia il Corano su un punto convergono, ossia che la violenza potrebbe essere giustificabile solamente in caso di legittima difesa – se proporzionata all’offesa – va da sé che Salvini e il sedicente califfo del sedicente Stato del sedicente islamico Al-Baghdadi la pensino allo stesso modo per interpretare la legittima difesa in termini incontrollatamente estensivi, di fatto con deroghe contra litteram – che a loro avviso si giustificherebbero per l’emergenzialità della situazione – e soprattutto in opposizione alla dottrina e alla giurisprudenza tradizionali. Salvini e Al-Baghdadi (ma anche i teocon americani) ritengono doveroso uccidere chi entra in casa loro, e forse anche chi, pur non entrandoci, vorrebbe farlo. Ammetto però che c’è una differenza: Al-Baghdadi non va semplicemente contro una legge umana come Salvini, ma si pone frontalmente contro la Legge di Dio e la sua millenaria esegesi sapienziale, il che lo macchia di bestemmia e apostasia.
17. Perché alcuni morti sono più morti di altri?
“Una domanda a chi ha messo la bandiera francese come foto del profilo. Con tutto il rispetto per la vostra solidarietà nei confronti delle vittime di Parigi posso sapere perché la tragedia francese vi ha colpito più della tragedia russa sul Sinai ad esempio? Curiosità e niente polemica. Mi piacerebbe sapere la vostra opinione” (Irina Osipova). Se è legittimo riconoscere identità differenziate e riconoscersi in una di esse, siamo sicuri che sia coerente professare un universalismo che è poi smentito sistematicamente dalle nostre reazioni e dagli universalismi antagonisti, come quello del Califfato?
18. Noi europei siamo privilegiati?
“Il solo fatto che il cittadino medio europeo dia per scontato di vivere in piena sicurezza e comfort i suoi ‘loisirs’ mentre per buona parte del mondo è normale che da un momento all’altro si può fare una brutta fine, rivela quanto siamo satolli, decadenti, ignari e arroganti. Da un punto di vista sociobiologico siamo ormai più che altro dei parassiti” (Stefano Sissa). D’altro canto, è un fatto, un dato strutturale e dunque esiziale che la movida “è, adesso, il ganglo più delicato e diffuso di quel ‘sistema della spensieratezza’, vero ‘modo di vita e base spontanea di consenso’, nel quale si condensa il legame connettivo più comprensivo della ‘complessità sociale’ dell’occidente” (Fausto Anderlini). Allora rilanciamo: siamo più vulnerabili o più impreparati?
19. Siamo in uno stato di eccezione? Cosa implica?
“Non avrete il mio odio e non sacrificherò la mia libertà per la sicurezza” (Antoine Leiris, marito di una vittima di ISIS a Parigi). Lo stato di eccezione implica la sospensione delle libertà costituzionali: dalla libertà di circolazione a quella di soggiorno passando per quella di riunione fino a giungere all’immunità del domicilio e della riservatezza che cedono, dinanzi al potere conferito (non a un giudice ma) all’autorità di polizia di disporre perquisizioni e sequestri senza onere di motivazione. Ogni libertà di espressione del pensiero è sospesa, in Francia, in questi giorni: la polizia può ordinarne discrezionalmente la disciplina. Si badi: tali restrizioni sono presenti nei nostri ordinamenti da tempo, più o meno evidenti, sanzionate in normative di difficile sindacabilità costituzionale o al contrario affermatesi al di fuori di maglie ordinamentali sempre più lasche e confuse. Tuttavia, “grazie” all’ISIS a Parigi tutto questo viene allo scoperto. Nel Messaggio ai Mujahidin e alla Umma musulmana per il mese di Ramadan il Califfo parla alla Umma e dice esattamente che adesso potranno esser svelati “slogan affascinanti ed ingannevoli” come, tra gli altri, “civilizzazione, pace, libertà, democrazia”.
20. Bombardare la Siria è legittimo?
“Nota per quelli che gioiscono dei bombardamenti della Francia su Raqqa, oggi capitale dello Stato Islamico. Questa offensiva aerea rappresenta una violazione della sovranità territoriale della Siria perché non c’è nessuna autorizzazione del governo di Damasco né un coordinamento militare condiviso. In poche parole: sono illegali” (Sebastiano Caputo). Ma siamo sicuri che la legalità internazionale non sia poco più di un feticcio?
21. Ora che fare?
“‘Senza una politica di intelligence europea, tenere aperte le frontiere interne dell’Ue sarà sempre più difficile’, spiega al Foglio una fonte comunitaria a conoscenza dei dibattiti tra i governi. ‘Ma non c’è la volontà di creare una Cia e una Nsa dell’Ue’” (David Carretta). “Gli attentati di Parigi rappresentano tutto il contrario di tutto ciò che noi consideriamo civiltà. Ma sono mesi e mesi che il presidente Putin sollecita l’attivazione di una coalizione con l’Unione Europea, che deve essere la protagonista, essendo la più colpita dalla migrazione prodotta sia dalla guerra in Siria che dall’espansione dell’Isis. L’Ue deve chiedere una coalizione che metta insieme gli Stati Uniti, la Federazione Russa e la Cina e che intervenga militarmente sotto l’egida dell’Onu. C’è una carenza di leadership nel mondo occidentale che è preoccupante e drammaticamente evidente, perché siamo nelle mani, purtroppo, di incompetenti e incapaci” (Silvio Berlusconi).
22. Dietro tutto ciò deve per forza esserci la paura?
“Quali che siano le circostanze, le epoche o le latitudini, il terrorismo scommette sempre sulla paura. Non solo la paura che diffonde nella società, ma la politica della paura con cui lo stato reagisce: una fuga in avanti dove al terrorismo segue la sospensione dei diritti democratici in una guerra senza fine, senza fronti e senza limiti, senza altro obiettivo strategico che il suo perpetuarsi, in cui gli attacchi e le risposte si alimentano a vicenda, le cause e gli effetti s’intrecciano all’infinito senza che mai emerga una soluzione pacifica” (Edwy Plenel).
1 bis. È uno scontro di civiltà?
Torna assai utile un altro contributo di René Girard, morto appena due settimane fa: “L’errore di sempre è di ragionare secondo le categorie della ‘differenza’, mentre invece la radice dei conflitti è piuttosto quella della ‘concorrenza’, la rivalità mimetica tra gli esseri, i Paesi, le culture. La concorrenza, ossia il desiderio di imitare l’altro per ottenere la stessa cosa che ha lui, all’occorrenza anche tramite la violenza […] Sotto l’etichetta dell’Islam c’è una volontà di collegare e mobilitare tutto un terzo mondo di frustrati e di vittime nei loro rapporti di rivalità mimetica con l’Occidente. Ma nelle Torri distrutte lavoravano sia stranieri che americani. E per l’efficienza, la sofisticazione dei mezzi impiegati, la conoscenza che essi avevano degli Stati Uniti, gli autori degli attentati non erano anch’essi un po’ americani? Siamo in pieno mimetismo […] L’America in effetti incarna questi rapporti mimetici di concorrenza. L’ideologia liberista ne ha fatto la soluzione assoluta. Efficace ma esplosiva. I suoi rapporti di concorrenza sono eccellenti a patto di uscirne vincitori, ma se i vincitori sono sempre gli stessi , allora un giorno o l’altro i vinti rovesciano il tavolo da gioco. Questa concorrenza mimetica, quando è infelice, fuoriesce sempre, ad un momento dato, in forma violenta. Sotto questo aspetto è l’Islam che oggi pone la sfida un tempo del marxismo. ‘Noi vi seppelliremo’, diceva Krusciov agli americani”.
Tregua finale
“Oggi la guerra è alimentata dalla difficoltà delle lotte collettive e del conflitto radicale”: se la politica sociale si identifica oggi con la politica criminale – basti guardare il tripudio di norme incriminatrici e il rilievo mediatico che ad esse è attribuito, dal reato di “omicidio stradale” a quello di “negazionismo” – è perché vi è un rifiuto e insieme un’impossibilità di accogliere e sviluppare il conflitto all’interno delle diverse società: dalla distruzione dello stato sociale che tuttora viene condotto in occidente alla distruzione delle stesse entità statuali in Medio Oriente, una grande ristrutturazione investe l’assetto politico interno ed estero dei diversi soggetti. In tutti i casi si reagisce con la violenza: quella delle nostre bombe, come quella dei loro terroristi; quella dei nostri giovani suicidi e delle nostre leggi eccezionali e liberticide, come quella dei loro eccidi a danno di musulmani renitenti al nuovo potere e del loro corpus teologico eccezionale, cosiddetto “giurisprudenza della necessità”, condannato da ogni sapiente islamico.
Eppure, “il contrario di guerra non è pace: è conflitto”. Noi europei dovremmo esserci avvezzi, sol che si pensi che i valori universali di cui ci riteniamo investiti rappresentano un universale che “è da sempre fratturato da una linea di classe, da secoli di guerra e di colonialismo, dalle divisioni razziali” che abbiamo scavato “per costruire la nostra civiltà capitalistica e imporla, appunto, come universale. Al netto dalle dietrologie e dei mostri usciti dai laboratori della geopolitica imperiale, l’Isis e l’orrore di Parigi sono il prodotto dell’orrore della civiltà che ci siamo imposti” (Infoaut).
“Soprattutto, occorre che gli «occidentali» e gli «orientali» costruiscano insieme il linguaggio di un nuovo universalismo, assumendosi il rischio di parlare gli uni per gli altri. La chiusura delle frontiere, la loro imposizione a scapito del multiculturalismo delle società di tutta la regione, questa è già la guerra civile […] Niente deve essere tabù, niente deve essere imposto come punto di vista unico, perché per definizione la verità non preesiste all’argomentazione e al conflitto” (Étienne Balibar).
Di due cose dobbiamo avere paura: dell’ingiustizia e dell’ignoranza, che possono alimentarsi vicendevolmente e innescare una catena di reazioni sconsiderate. Non la vittoria ma la pace, dunque, torni al centro delle nostre agende politiche: se la repressione può ritorcersi come controproducente e la prevenzione si rivela insufficiente, la redenzione fa capolino all’orizzonte rivelandosi quanto mai necessaria.
Piotr Zygulski e Giuseppe Carlino