Richetti lancia grido di allarme nel PD: che fine ha fatto la rottamazione?
Che fine ha fatto la rottamazione all’interno del Partito Democratico? Il Pd vive da mesi una fase di appannamento. Dopo lo straordinario successo conseguito in occasione delle ultime elezioni europee, ci sono stati alti e bassi. Ma oggi il Pd è chiamato alla difficile prova delle amministrative previste in primavera quando si voterà in comuni di grande importanza come Roma, Milano, Torino, Bologna e Napoli.
Renzi e gli uomini più vicini al premier sembrano molto più concentrati sull’impegno al Governo mentre minore appare lo sforzo compiuto per dare man forte al partito sia a livello nazionale che sui territori. Proprio nel confronto tra Pd nazionale e l’organizzazione del Partito Democratico ai livelli più bassi si rileva uno scollamento che a tratti disorienta la base e diventa motivo di critica per le opposizioni. L’atteggiamento del segretario Renzi sembra essere improntata alla piena autonomia dei territori ma vi sono occasioni, come nel caso della cacciata di Marino da sindaco di Roma, in cui i fatti locali assumono una portata nazionale e a quel punto diventa inevitabile l’intervento dall’alto che pure Renzi ha preferito delegare al presidente del Pd Orfini. L’altra difficoltà di Renzi è il rapporto con alcuni presidenti delle Regioni del sud che oltre ad appartenere al Pd riescono ad attrarre consensi a livello locale all’interno dello stesso Pd: elemento da tenere in considerazione anche in chiave congressuale. I due casi più eclatanti sono quelli che riguardano il Presidente della Campania Vincenzo De Luca ed il presidente della Regione Puglia Michele Emiliano con cui Renzi.
Richetti: “Nel Pd sta riuscendo la rottamazione delle prassi sbagliate”
A criticare il premier è un ex renziano della prima ora, nonché deputato del Partito Democratico, Matteo Richetti. “Non ho nessuna intenzione di attaccare Renzi, nè di cambiare idea sul percorso fatto insieme, “ma non credo sia onesto, nemmeno nei confronti di Renzi, nascondere problemi che sono evidenti anche all’ultimo degli iscritti al Pd”. Matteo Richetti alla Stampa afferma: “Mentre sull’azione di governo c’è la percezione che, dopo anni, finalmente qualcosa si stia muovendo nel verso giusto, nel partito il momento di suo massimo consenso coincide con il momento di massimo smarrimento”.
“Il Pd non è più di nessuno: non di chi ha sostenuto Renzi, che vede candidati e dirigenti in totale continuità col passato, con la ditta tanto criticata, e non di chi ha contrastato Renzi e ritiene che la sua gestione del partito non abbia niente a che fare con la sinistra. L’identità del Pd è fortemente minata”. “Le candidature messe in campo dal Pd sotto la nostra gestione – dalla Calabria alla Puglia alla Toscana – non hanno risentito dell’innovazione che ci si aspettava: si sarebbe dovuto valorizzare qualche bravo sindaco in più e qualche dirigente in meno”.
“Se c’è una responsabilità di Renzi è che il governo del partito dev’essere più condiviso. Guerini e la Serracchiani (i vicesegretari, ndr.) stanno facendo un lavoro straordinario, ma la forza di Renzi spesso si traduce nell’attesa che l’oracolo si esprima”. “Rottamazione è un termine che non mi è mai piaciuto molto. Diciamo che sta riuscendo la rottamazione delle prassi sbagliate, come la supplentite nella scuola, mentre sulla classe dirigente abbiamo l’onere di offrirne una al Paese che ancora non si vede prendere forma”.
Alla domanda se De Luca dovrebbe dimettersi, Richetti replica: “Fossi in lui non mi sarei mai candidato, ma discutere oggi di dimissioni mi fa sorridere”. Sul fatto che aveva chiesto una parola di chiarezza a Renzi in merito a Verdini, Richetti fa sapere: “Io non ho sentito nulla, se non il fastidio per le mie parole”.