(In collaborazione con Mediterranean Affairs)
Che cos’è lo Stato Islamico? È intuitivo ritenere che alla barbarie del terrorismo sia sottesa causalmente una pianificazione meticolosa e scientifica. Questa lettura da per scontato che un attentato terroristico sia il risultato dell’elaborazione teorica di un manipolo di ideologi del terrore e di un’azione effettiva compiuta da personaggi che rispondono a direttive poste dall’alto in chiave gerarchica. Eppure, se si osservano attentamente le parabole radicali dei soldati dell’apocalisse jihadista parigina del 13 novembre è difficile rintracciare un simile meccanismo.
Nel settembre del 2014, Lucio Caracciolo, direttore della rivista Limes, definì Abu Bakr Al-Baghdadi “un ‘califfo’ molto virtuale” e lo Stato Islamico un “brand” polisemantico e stracolmo di ambiguità. Tornano alla mente le teorie dello storico britannico Ian Kershaw, contenute nel molto dibattuto volume Che cos’è il nazismo?, pubblicato nel lontano 1985. Nel suo studio Kershaw parte da un dilemma: il nazismo fu possibile perché Hitler e i vertici del suo partito lo pianificarono con ordini operativi somministrati dall’alto ai sedicenti uomini del regime, oppure fu semplicemente il prodotto di una struttura creata dal vertice del Reich, ma le cui azioni finirono poi per essere pensate e rese effettive in modo del tutto autonomo? Lo stesso problema interpretativo sorge se si osserva lo Stato Islamico. Più precisamente: qual è il ruolo del califfo Al-Baghdadi e dei vertici dello Stato Islamico nelle barbarie compiute a Parigi lo scorso 13 novembre? E di conseguenza, parafrasando Kershaw, Che cos’è lo Stato Islamico?
Quanto c’è di Stato Islamico negli attentati di Parigi?
Interazioni sociali e radicalizzazione. In primo luogo, lo Stato Islamico rappresenta un inesauribile serbatoio ideologico, un repertorio efficacissimo di modelli comportamentali. Una cassetta degli attrezzi disponibile in qualsiasi luogo, in qualsiasi momento e totalmente open source. In secondo luogo, con la sua narrazione apocalittica ma efficace, esso diventa la promessa di redenzione per schiere di individui che vivono con disagio le società occidentali. Tale narrazione, se fatta interagire con altri fattori socio-psicologici, diventa l’humus ideale per la radicalizzazione del jihadismo in seno alle società occidentali.
L’ideologia è un fattore dotato di un potere causale fortissimo. Lo ha confermato un ex ostaggio francese, imprigionato per dieci mesi dai miliziani dello Stato Islamico: i soldati di Al-Baghdadi sono “completamente indottrinati”. Sono drogati di ideologia. Un’ideologia ecumenica, di visionaria portata planetaria la cui immensità non è in nulla paragonabile all’esigua porzione territoriale di cui lo Stato Islamico dispone. In contesti come le città occidentali, questi fattori concorrono alla radicalizzazione: un ambiente sociale radicale (radical milieu), la presenza di un indottrinamento ideologico progressivo e onnipervasivo, la rete di interazioni rituali (nel mondo reale o su internet), i legami amicali o parentali tra gli individui, una particolare condizione sociale di marginalizzazione che si estrinseca nella convinzione che la vita in un dato contesto sociale non sia in linea con le aspirazioni materiali e spirituali di un individuo. L’interazione di questo mirepoix di ingredienti porta alla radicalizzazione.
Il terrore ubiquitario. Il personaggio emblema dei fatti di Parigi si chiama Abdel Hamid Abaaoud, definito turista-terrorista per via dei suoi continui e incessanti spostamenti. Ventisettenne figlio di commercianti immigrati a Molenbeek (Belgio), era un ragazzo normalissimo, studioso, sportivo e perfettamente integrato nel contesto sociale in cui viveva. Nel 2013 avvenne il grande cambiamento. Affascinato dallo Stato Islamico decise di partire per la Siria e di arruolarsi tra le milizie della bandiera nera. Dalle grandi doti organizzative, è stato utilizzato, dapprima, come connettore della rete francofona sul campo di battaglia, in seguito come elemento di collegamento della rete jihadista europea tra Belgio e Francia. Ricercato dai servizi segreti di tutto il mondo, se l’è sempre cavata arrivando perfino alla diffusione della notizia della sua morte. Morte avvenuta realmente nel corso del blitz della polizia parigina a Saint Denis tra 18 e 19 novembre.
La figura di Abaaoud è particolarmente pedagogica per l’intelligence occidentale per almeno tre motivi: 1) L’ordine del terrore dello Stato Islamico ha un potere ubiquitario e spaventoso: può colpire in ogni luogo e in qualsiasi momento; 2) La fantasia e l’estro sono i demiurghi della violenza e dunque i sistemi di intelligence non possono permettersi di dare nulla per scontato; 3) siccome la radicalizzazione jihadista si basa largamente sulle interazioni sociali degli individui in ambienti congeniali a questo, per contrastarla occorre fare leva sulla comunità musulmana moderata che pure vive nelle nostre società.
Federico Solfrini
(Mediterranean Affairs – Contributing editor)