Situazione Balcani: un’instabilità amplificata dalle attività russe
Negli ultimi dodici mesi, per ben due volte la cancelliera tedesca Angela Merkel ha espresso preoccupazione per la stabilità a lungo termine dei Balcani occidentali. Dopo la sua prima affermazione del novembre 2014 – nella quale, dopo l’annessione della Crimea e la continuata guerra in Ucraina orientale, ha avvertito dell’appetito neo-imperiale russo – il 3 novembre 2015, parlando ai membri del suo partito, ha chiarito che l’attuale crisi europea dei rifugiati potrebbe riaccendere le tensioni tra i governi della regione dei Balcani e, che se la Germania decidesse di chiudere i suoi confini con l’Austria, il risultato potrebbe essere una escalation delle già crescenti tensioni locali. “Io non voglio che diventino necessari conflitti armati”, ha avvertito.
Nelle prossime settimane e mesi, con l’avvicinarsi dell’inverno e il continuo afflusso di rifugiati e migranti, il fianco sud-est d’Europa sarà sicuramente un punto da tenere particolarmente sott’occhio. Ma stiamo veramente parlando di uno scoppio di una guerra? Dovremmo ascoltare gli avvisi di Angela Merkel?
Situazione Balcani: la preoccupazione della Merkel
Parlare di un conflitto armato è chiaramente un’esagerazione, ma la crisi dei rifugiati e migranti sta testando il confine e i valori europei. La preoccupazione espressa nella dichiarazione era senza dubbio suscitata dai litigi e dalla confusione creatasi tra gli Stati balcanici, che non sapevano come affrontare le centinaia di migliaia di disperate persone che arrivavano sui loro confini, sui treni, attraverso i campi, a volte guadavano i fiumi, tutti in una corsa frenetica verso nord. Finora, gli Stati balcanici sono stati un punto di transito; ma se vengono chiusi i bordi della Germania e altrove, i numeri enormi di queste persone finiranno accampati in questi paesi, e l’attuale brutta situazione, rischia di diventare davvero molto volatile.
Lo scopo delle parole della Merkel è stato senza dubbio quello di trasmettere un senso di urgenza; ma a molti – dentro e fuori dalla Germania – sono sembrate una selvaggia esagerazione. Il primo ministro croato ha reagito senza mezzi termini: “Non ci sarà alcun conflitto armato – e ha aggiunto – se la Germania chiude i confini ai rifugiati, la Croazia farà altrettanto in maniera più veloce”.
Ma nei Balcani – oltre all’intensificarsi delle crescenti tensioni intra-regionali, legate ai flussi transfrontalieri dei profughi, la crescente presenza di corruzione, criminalità organizzata, irrisolte dispute territoriali ed etniche, ambiziosi processi d’integrazione europei che interagiscono con le sfide extra-regionali, come l’ascesa del radicalismo religioso e la retorica d’estrema destra – c’è l’aggravante russa che, per spingere la regione in un limbo geopolitico creando incertezze per il futuro, utilizza investimenti economici mirati, pressione politica e promesse di cooperazione nel settore militare.
Situazione Balcani: il ruolo della Russia
Il 25 ottobre, durante la sua visita a Mosca, il primo ministro serbo Alexander Vučić, ha sottolineato gli importanti investimenti economici russi in infrastrutture strategiche e nel settore energetico serbo. In particolare, Gazprom possiede una partecipazione di maggioranza nei fornitori di gas naturali del paese, il 51% di NIS, la ditta statale del petrolio, mentre Lukoil dal 2003, detiene quasi l’80 per cento del rivenditore di petrolio Beopetrol.
Sia Russia che Serbia, hanno sottolineato che tali investimenti economici sono stati la chiave per una serie di accordi bilaterali firmati tra i due paesi. Ma la visita di Vučić di tre giorni a Mosca, è stata fondamentale per l’espansione del sostegno militare russo alla Serbia, in effetti, le due parti hanno firmato un accordo per l’acquisto di armamenti russi per un valore di oltre 2,5 miliardi di dollari. Ai media sono stati rilasciati pochi dettagli dell’affare, ma gli esperti militari di Belgrado si sono affrettati a negare che queste armi potessero causare attriti diplomatici tra la Serbia e l’Unione europea.
“Non c’è bisogno di pensare che i nostri rapporti peggioreranno, perché la Serbia, quando si tratta di esercitazioni militari, attrezzature e cose del genere, collabora con la NATO più di quanto non faccia con la Russia” ha spiegato l’esperto militare di Belgrado, Alessandro Radic.
Tuttavia, le analisi e le relazioni sia locali che regionali esprimono serie preoccupazioni che queste armi possano avere conseguenze negative per la stabilità della regione e per l’integrazione della Serbia nell’UE. Gli armamenti russi sono stati posti di stanza in una base militare nei pressi della valle Presovo, nel sud della Serbia, una zona con una popolazione prevalentemente di etnia albanese, situata a pochi chilometri da Bonsteel, che è un campo militare americano nel Kosovo.
I Balcani occidentali sono una regione povera con bassa crescita, disoccupazione di massa e un PIL pro capite inferiore alla metà della media UE. Anche se solo due Stati dei Balcani occidentali, Slovenia e Croazia, sono membri dell’Unione europea, l’intera regione deve essere inclusa nelle discussioni europee circa la forgiatura dei meccanismi per affrontare le crisi che ora imperversano; ma finora, l’UE non ha abbinato un’azione convincente alle sue promesse di un migliore coordinamento e risorse. Nel frattempo, mentre gli altri paesi della regione continuano ad avanzare ambizioni di adesione all’Unione europea e alla NATO, la Russia al contrario, sta aumentando la sua pressione per interrompere questi desideri.
Situazione Balcani: Montenegro tra NATO e Russia
Entro la fine di quest’anno, i membri della NATO dovranno collettivamente decidere se offrire un invito al Montenegro per aderire all’Alleanza; chiaro che all’estensione d’appartenenza a Podgorica, faranno seguito i pubblici rimproveri dei funzionari di Mosca.
La presenza economica russa in questo piccolo paese slavo cristiano ortodosso, è cresciuta significativamente negli ultimi anni – attualmente è pari a oltre il 5 per cento del PIL del Montenegro. Oltre 7.000 russi sono cittadini residenti permanenti, possiedono circa il 30 per cento delle imprese locali, così come il 40 per cento del patrimonio immobiliare del paese, soprattutto lungo la costa adriatica. I media russi invece, lamentano che gli investimenti russi della zona siano minacciati, primo perché il paese è un aspirante UE e ha aderito alle sanzioni europee contro la Russia, e poi perché il suo primo ministro, Milo Djukanovic, ha promesso di “ripulire il paese dai resti dell’influenza russa”.
Queste diatribe hanno scatenato gravi dispute diplomatiche tra i due Stati, portando persino la Russia ad abolire il regime d’esenzione del visto e cancellare altri accordi commerciali bilaterali. Lo scorso ottobre, una serie di proteste anti-governative a Podgorica, che chiedevano le elezioni anticipate e la formazione di un governo ad interim, si sono trasformate in violente. Il primo ministro Djukanovic ha accusato direttamente i serbi e i russi della mobilitazione e dell’organizzazione delle manifestazioni. Secondo i rapporti locali, molti dei manifestanti sventolavano bandiere serbe e russe, ma i leader del movimento hanno ripetutamente negato ogni legame con Mosca o Belgrado.
Diversi paesi dei Balcani occidentali sono diffidenti del sostegno russo alle élite politiche locali, che potrebbe a lungo termine interrompere la stabilità della regione. Questi “allievi” russi regolarmente si oppongono alle riforme che promuovono l’integrazione europea, nonché alle fasi che i governi adottano per normalizzare le relazioni con i loro vicini. Belgrado, il più forte alleato regionale di Mosca, sta perseguendo l’adesione all’UE; ma le azioni russe potrebbero influenzare fortemente il successo del processo.
La situazione nei Balcani occidentali, dove le dispute territoriali ed etniche guidano la maggior parte dei conflitti inter e intra-statali, è molto sfilacciata. Negli ultimi mesi in Kosovo, sono in crescita le divisioni interne con dispute politiche per creare comuni con maggioranza composta da serbi, nonché in Bosnia-Erzegovina, dove si discute dell’eventuale scioglimento degli accordi di Dayton, che potrebbe consentire la secessione all’entità della Republika Srpska (Repubblica Serba).
Vessela Tcherneva, un’analista dei Balcani al Consiglio europeo per le relazioni estere, è colpita da quanto velocemente le relazioni interstatali si stanno deteriorando nella regione. “È spaventoso! – sostiene – è come se un genio fosse stato fatto uscire dalla bottiglia. Sono riapparsi i vecchi rancori, ma con l’aggiunta di un vento freddo siberiano”.
Nei Balcani occidentali, le righe diplomatiche possono facilmente assumere delle sfumature religiose-nazionaliste, e il potenziale scontro di queste due forze opposte minaccia di destabilizzare la fragile, ma strategica zona all’interno dell’Europa. Ma la linea di fondo, è che l’Europa nei Balcani ha bisogno di riscoprire la propria incompiuta attività, si tratta di una regione che si trova sul suo confine e dove i suoi valori vengono testati in modo cruciale: questo è, dopo tutto, dove gran parte del destino dell’Europa è stato definito, e dove non devono essere dimenticate le lezioni della storia.
Gabrielis Bedris