Scajola sapeva delle minacce Br verso Marco Biagi
Marco Biagi poteva essere salvato. Forse. La richiesta di ampliamento della scorta che avevano chiesto più esponenti del mondo politico (e non solo) nei confronti dell’allora (2002) Ministro dell’Interno Claudio Scajola, fu però inascoltata.
Il primo a richiederla sembrerebbe essere stato Roberto Maroni (allora Ministro del Welfare), intenzionato a difendere il suo assistente per la riforma: “sono io ad aver scritto una lettera al ministro dell’Interno Claudio Scajola. Chiedevo di estendere la scorta a Marco Biagi, anche a Bologna, dove viveva”. Ma anche l’allora Forza Italia, Maurizio Sacconi, e il vertice degli industriali, Stefano Parisi, avevano premuto affinché il consulente del lavoro venisse difeso adeguatamente: “il 15 marzo 2002, quattro giorni prima dell’omicidio di Marco Biagi, consegnai – racconta Luciano Zocchi, al tempo capo segreteria di Scajola – due lettere al ministro dell’Interno Claudio Scajola con le richieste dell’onorevole Maurizio Sacconi e del direttore generale di Confindustria Stefano Parisi perché fosse data la scorta al giuslavorista bolognese. Scajola mente quando dice che nessuno l’aveva informato del pericolo”.
Quasi a scrivere la parola ‘fine’ alla propria vita ci ha pensato direttamente Biagi quando compilò una semplice frase: “se dovesse malauguratamente occorrermi qualcosa, desidero si sappia che avevo inutilmente informato le autorità di queste ripetute telefonate minatorie, senza che venissero presi provvedimenti”. Insomma, il giuslavorista era in pericolo e la lettera di Maroni è stata ritrovata negli archivi di Scajola. Non ci fu quindi una semplice sottovalutazione del pericolo, come ammise poi Scajola. La frase pronunciata dall’ex parlamentare FI (“la tragica morte di Biagi non è avvenuta per colpa mia. Nessuno mi ha mai informato dei suoi messaggi disperati”), insomma, non sembra così lineare con gli avvenimenti accaduti il 19 marzo 2002. “Biagi era un rompicoglioni”, sembra essere più in linea con quello che si sta palesando (e la frase è proprio di Scajola, il dì delle dimissioni dal vertice del Viminale).
Parla Luciano Zocchi, intervistato dal Corriere della Sera: “era la mattina del 15 marzo 2002. Mi chiamò Enrica Giorgetti, la moglie dell’onorevole Sacconi che lavorava in Confindustria. Mi segnalò la pubblicazione della relazione semestrale dei servizi segreti con le minacce brigatiste. E mi disse: “Non chiedo di dare la scorta a mio marito, ma convinci il ministro a darla a Biagi””. Quindi la chiamata di Parisi. Immediatamente dopo la scrittura di un promemoria al Ministro Scajola: “l’onorevole Sacconi ti chiede di dare la tutela al professor Marco Biagi, erede di D’Antona e Tarantelli”. Nella seconda annotai: “Stefano Parisi (essendo all’estero il presidente di Confindustria Antonio D’Amato) ti chiede un appuntamento urgente per lo stesso motivo”. Poi “la sua segretaria Fabiana Santini mi disse che glieli aveva dati e lui li aveva letti e la sera Scajola mi chiamò per chiedermi come mai conoscevo Parisi. In quel momento capii che aveva visto tutto”. Quattro giorni dopo l’omicidio da parte delle Nuove Brigate Rosse.
Zocchi conclude: “non avrei mai immaginato che questa circostanza sarebbe stata tenuta nascosta. Capii tutto il 16 aprile 2002 quando Scajola disse in Senato che lui non era mai stato informato delle minacce. Da allora fui tenuto a distanza e poi isolato. Da quando abbiamo lasciato il Viminale i nostri rapporti sono diventati freddi e molto sporadici”, fino a chiedergli di non parlare mai più di Marco Biagi.
Daniele Errera