Caso Shalabayeva: l’accusa è sequestro di persona. I pm di Perugia hanno inserito nel registro degli indagati il capo dello Sco Renato Cortese, il questore di Rimini Maurizio Improta, 5 poliziotti e il giudice di Pace Stefania Lavore. Alma Shalabayeva, moglie del dissidente kazako Mukhtar Ablyazov fu prelevata dagli agenti di polizia che cercavano il marito nel 2013 ed espulsa dall’Italia. Nel 2013 Renato Cortese era il capo della Mobile di Roma, mentre Maurizio Improta, che si occupò dell’espulsione, era a capo dell’ufficio Stranieri della Capitale. Nel registro degli indagati compaiono inoltre Luca Armeni e Francesco Stampacchia, dirigente della sezione Criminalità organizzata e commissario capo della Mobile, Vincenzo Tramma, Laura Scipioni e Stefano Leoni, i tre poliziotti in servizio presso l’ufficio Immigrazione. Agli indagati sarebbe stata notificata un’informazione di garanzia.
Il caso Shalabayeva
Alma Shalabayeva vive a Roma insieme ai figli ed è cittadina della Capitale da tempo. Il marito, invece, è ancora detenuto in Francia. Una figlia grande vive in Svizzera ed un altro figlio è a Londra. La notte del 29 maggio 22013 gli agenti della Mobile e dell’Ufficio Stranieri si presentarono nella villa di Alma Shalabayeva con un mandato di cattura dello Stato kazako rilanciato dall’Interpol. La donna fu espulsa rapidamente dall’Italia a bordo di un aereo pagato dall’ambasciata kazaka insieme alla figlia Alua di sei anni, dopo un passaggio nel Centro di identificazione ed espulsione. La Shalabayeva fu prelevata dalla sua villa di Casal Palocco insieme al cognato Bolat Seraliev, e portata in un Cie, la sera dopo Seraliev venne liberato perché in possesso di uno stato Ue considerato valido, mentre venne considerano falso il passaporto centrafricano di Alma. L’ufficio Immigrazione fece una consulenza sul passaporto dichiarandolo falso, che fu determinante per l’espulsione. La Farnesina, per voce dell’allora ministro Emma Bonino, negò di essere stata coinvolta nella valutazione del passaporto. La consulenza fu smentita anche dallo stato centrafricano che dichiarò la validità del documento.
La sentenza della Cassazione del luglio del 2014 stabilì poi che madre e figlia non dovevano essere espulse dall’Italia poiché il provvedimento di rimpatrio era viziato da “manifesta illegittimità originaria”. Quando scoppiò il caso, il governo annullò il decreto di espulsione e iniziò la trattativa diplomatica, condotta dall’allora ministro degli Esteri Emma Bonino, per il ritorno della Shalabayevae di sua figlia in Italia. Il ministro dell’Interno, Angelino Alfano, negò di aver ricevuto delle pressioni dai diplomatici kazaki. La responsabilità ricadde quindi sul sul capo di Gabinetto del ministro, Giuseppe Procaccini, che si dimise.
Alma Shalabayeva: “fiducia nella giustizia italiana”
Soddisfazione è stata espressa all’Adnkronos dal legale di Alma Shalabayeva, l’avvocato Astolfo Di Amato: “la magistratura di Perugia ha dimostrato grande indipendenza e autonomia. Alma ha presentato la denuncia alla procura con grande fiducia. La denuncia era per sequestro di persona, quindi quello che è stato scritto avrà trovato conferma nelle indagini. Guardiamo con attenzione, poi valuteremo se costituirci parte civile”. Anche la stessa Shalabayeva ha commentato: “oggi ho fiducia nel sistema giudiziario italiano che sta cercando i responsabili e ringrazio la procura di Perugia che è stata molto autonoma e diligente nelle sue indagini: è stato fatto un lavoro molto serio per la ricerca della verità dietro il rapimento mio e della mia bambina” – e ha aggiunto: “certamente le investigazioni hanno chiarito che le principali responsabilità per quello che è accaduto sono dei diplomatici kazaki che si trovavano in Italia. Voglio ancora ringraziare pubblicamente Emma Bonino per i suoi sforzi cruciali fatti per ottenere il rilascio mio e di mia figlia dal regime kazako”.