Conferenza clima: per le banlieues è l’ultimo dei problemi
Dopo gli attentati di qualche settimana fa, Parigi in questi giorni è tornata ad essere al centro dell’attenzione dei media di tutto il mondo. Nella capitale francese è infatti in corso il COP21, che nell’ottica della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, ha il compito di portare avanti i negoziati tra i paesi per cercare di contenere e ridurre le emissioni di CO2 presenti nell’ atmosfera e contrastare così il riscaldamento globale e i cambiamenti climatici.
Mentre però i grandi del mondo si ritrovano per salvare il pianeta, nelle periferie e nei sobborghi di Parigi dell’ambiente poco importa, ben altri sono i problemi: dalla povertà all’isolamento sociale, passando per le tensioni razziali e religiose.
Il dipartimento di Saint Denis dista solo pochi kilometri da Le Bourget, l’area di Parigi dove è in corso la conferenza mondiale sul clima, ma nella pratica non potrebbe essere più lontano. Il riscaldamento globale e i cambiamenti climatici non sono una questione in uno dei sobborghi più violenti ed emarginati di tutta la Francia. Il dipartimento di Saint Denis è quello con la più alta concentrazione di stranieri dell’intero paese, circa il 30%, e con il più alto tasso di disoccupazione che tra i giovani tocca picchi del 50%.
Conferenza clima: il problema banlieues
Tante etnie, tanti colori e altrettanti problemi. In poche centinaia di metri il sobborgo presenta immagini contrastanti: la casa dove alcuni giorni fa ha avuto luogo il blitz alla ricerca di Abdelhamid Abaaoud, una moschea e un centro culturale islamico e una delle basiliche cristiane più belle di Francia. Tanta diversità genera però tanta emarginazione. La completa mancanza di lavoro e di prospettive fanno il resto e hanno determinato negli anni drastici cambiamenti di tipo economico e razziale che hanno profondamente trasformato queste periferie in pericolosi ghetti.
Da un lato l’Islam, considerato dai francesi sempre più come una minaccia allo Stato e alla sicurezza della nazione. Dall’altro gli immigrati dell’Africa occidentale mai pienamente integrati e diventati una sottoclasse per cui disperazione e discriminazione sono diventate la normalità. Il modello di integrazione francese, per alcuni completamente mancato, a differenza di quanto accaduto, ad esempio, negli Stati Uniti non ha infatti permesso alle generazioni successive discendenti dagli immigrati di migliorare la propria posizione sociale ed economica determinando una divisione tra cittadini di serie A e cittadini di serie B.
Non è un caso che le rivolte nelle Banlieues parigine siano state negli anni sempre più frequenti e quella del 2005, durata ben tre settimane, è ricordata come una delle più dure della storia dell’intero Paese. In questo contesto nei sobborghi più pericolosi di Parigi operano una serie di associazioni di volontariato che cercano in qualche modo di contrastare questo disastro sociale, promuovendo l’aiuto scolastico e l’integrazione insegnando agli immigrati la lingua, la cultura e le leggi francesi. Il problema più grande resta però quello della disoccupazione che non permette in alcun modo ai giovani di entrare attivamente nella società.
Questioni di difficile risoluzione, che forse hanno ben poco a che vedere con il Cop21 ma che impongono una riflessione: se in qualche modo non si riuscirà ad arrivare anche a questa gente che popola le tantissime periferie delle città Europee, anche la lotta ai cambiamenti climatici sarà persa in partenza.