Parigi a 20 giorni dagli attentati: cosa succede al Bataclan e a Place de la Republique

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Secondo ForwardKeys, agenzia specializzata nell’analisi di dati riguardanti il settore del turismo, i viaggi verso Parigi hanno subito una forte contrazione in seguito agli attentati del 13 novembre scorso. Il picco delle cancellazioni è concentrato, come è ovvio, sul fine settimana successivo agli attacchi, e il secondo periodo più colpito è quello che va dal 30 novembre all’11 dicembre, giorni in cui si svolge la COP21, la conferenza sul cambiamento climatico alla quale partecipano i principali Paesi facenti parte delle Nazioni Unite.

A dispetto della percezione che si ha dall’esterno, e che ha portato alcuni turisti a cambiare i propri programmi, a due settimane di distanza da quei giorni la città sembra essere tornata alla normalità, forse perché in fondo è l’unica alternativa che ha chi a Parigi ci vive.

Certamente il livello di allerta è ancora alto, come dimostra la presenza nei principali luoghi di interesse turistico di due o tre uomini armati. Prima di entrare in alcuni negozi il personale della sicurezza invita i visitatori ad aprire il proprio giubbotto o il proprio zaino per mostrarne il contenuto. Negli aeroporti francesi i controlli sono ben più accurati di quelli che si è abituati a subire per i voli sul territorio nazionale italiano.

Se all’apparenza la paura si è spenta, non si può dire lo stesso del ricordo nei confronti delle vittime. I parigini si sono ormai completamente appropriati del monumento che si trova al centro di Place de la Republique, che rappresenta i noti valori della Repubblica francese. Questo si è trasformato in un disordinato mausoleo ricoperto di fiori, candele, bandiere e disegni che inneggiano alla pace universale.

Nel momento in cui arrivo ai piedi della statua della Marianne, intorno alle 18.30 di mercoledì 2 dicembre, un uomo sta spazzando il pavimento dai fiori ormai appassiti, una ragazza sta accendendo le candele che si sono spente a causa del vento, qualche passante si ferma, qualcuno è venuto di proposito. Poco lontano, nella piazza, alcuni ragazzi si allenano a fare delle acrobazie sui loro skate, i locali sono pieni di gente seduta ai tavolini all’esterno.

Parigi, al Bataclan tutto fermo da quella notte…

Allontanandomi di circa cinquecento metri, percorrendo boulevard Voltaire, raggiungo il Bataclan. Il luogo è presidiato da alcuni agenti della polizia che imbracciano i loro mitra. L’insegna del teatro è ancora quella del 13 novembre che annuncia lo spettacolo degli Eagles Of Death Metal. Le transenne e i teli bianchi che ostruiscono l’entrata del teatro sono ancora una volta colmi di dediche, fotografie, fiori, candele consumate o accese. Ma lo spazio non basta per contenere tutto, allora la cancellata del parco che si trova dall’altro lato della strada ospita per decine di metri quegli oggetti che per la società occidentale simboleggiano il lutto.

Mi soffermo su alcuni particolari: la foto di una ragazza sorridente che avrà avuto vent’anni, una bicicletta probabilmente appartenuta ad una delle vittime, un paio di scarpe. Alcune ragazze mi offrono del caffè e dei biscotti, “È gratis”, dicono, e mi invitano a scrivere qualcosa su un cartellone che verrà poi appeso in Place de la Republique. Accetto, e un ragazzo con un cappello di paglia in testa e dei guanti bianchi, scherzando sulla propria pronuncia inglese, mi serve il caffè. Mi chiedo che senso abbia quel gesto, perché offrire qualcosa agli sconosciuti che vengono a visitare il luogo del massacro? A cosa serve? Mi rispondo che è proprio la gratuità ad avere senso, è proprio quell’offerta che presuppone la vicinanza degli individui che si contrappone a qualsiasi forma di divisione, paura o sospetto che potrebbe nascere in seguito ad un strage come quella che è avvenuta in quel luogo.

Lì incontro un uomo che mi chiede la mia nazionalità. Si chiama Lotfi, è tunisino, e conosce l’italiano perché è stato per sette anni nel nostro Paese. “È bello sentire parlare la propria lingua”, mi dice sorridendo per rassicurarmi, forse perché ha spesso provato la sensazione, che in misura molto minore sto provando anche io in quel momento, di trovarsi straniero in una terra straniera. Gli dico che sono siciliano e mi racconta di essere stato a Caltanissetta, Siracusa, Ragusa, Catania, ma anche a Taormina, Venezia, Parma e Reggio Emilia. In totale ha visto diciotto Stati, tra quelli africani e quelli europei. Mi chiede se in Italia si sente ancora la crisi, non parliamo mai degli attentati, sembra superfluo e non ci sarebbe molto da dire, è sufficiente trovarsi lì.

Prima di andare via prendo il pennarello per scrivere qualcosa sul cartellone. La prima cosa che mi viene in mente, l’ho letta su un manifesto appeso sui muri di Montmartre sul quale è disegnata, in bianco e nero, la famosa foto di Robert Doisneau. Un ragazzo e una ragazza si baciano e hanno due macchie rosse all’altezza del cuore. Con lettere sbavate ed incerte il manifesto recita “Vous n’avrez pas notre haine”.

Allora scrivo questo: “Non avrete il nostro odio”.

Giuseppe Giangreco