Interessante provocazione di Andrea Sarubbi:
A fine aprile 1994, nei giorni in cui Silvio Berlusconi stava mettendo a punto la lista dei ministri del suo primo governo, Giovanni Paolo II venne operato al femore destro presso il Policlinico Gemelli. Già da tre anni soffriva di Parkinson e fonti ecclesiali cominciarono a far circolare la voce che si sarebbe potuto dimettere di lì a poco, presumibilmente nel concistoro di metà giugno. Dopo un paio di giorni, arrivò la smentita ufficiale di Navarro Valls, che riferì ai giornalisti una frase detta da Karol Wojtyla al chirurgo: “Professore, io e lei abbiamo un’unica scelta: lei mi deve curare e io devo guarire, perché non c’è posto per un Papa emerito”. Solo i non addetti ai lavori la presero come una battuta: la figura di Papa emerito non è mai esistita nell’organigramma ecclesiale, e se esistesse certamente porrebbe dei problemi nuovi, trattandosi di un’istituzione – la Chiesa cattolica, appunto – che prevede il ricambio della classe dirigente solo per estinzione.
Che cosa potrebbe fare un Papa emerito, senza disturbare con la propria ombra ingombrante il suo successore? Chiudersi in convento e pregare, d’accordo. E se invece decidesse di esternare, di fare da controcanto alle encicliche del Pontefice che magari ha una linea diversa dalla sua? Fanta-obiezione: con il predecessore ancora vivo, si sceglierebbe un successore a lui sgradito. Contro-obiezione: e allora quanto sarebbe libero il conclave, con il Papa dimissionario ancora nei Palazzi? È roba alla Dan Brown, per carità, ma i problemi che pone sono problemi reali, che ogni organizzazione a forte leadership carismatica affronta nella sua esistenza: tanto più se, al suo interno, non si è mai sviluppata una struttura indipendente dal proprio fondatore. E così stamattina, quando ho sentito la storia di Berlusconi che non andava da Vespa per non mettere in ombra Alfano, dopo la voce dal sen fuggita sulquid mancante, mi è venuto in mente che anche il Pdl in questo momento sperimenta lo stesso problema: magari non proprio un Papa emerito, ma un Papi emerito ce lo hanno in casa anche loro. Ora che il leader indiscusso ha lasciato il centro del palcoscenico, quale sarà il suo ruolo nel Centrodestra? E soprattutto – cosa che a me interessa molto di più – come si porrà il Pdl nei suoi confronti? La prima risposta è difficile, la seconda è facile. Berlusconi non è un uomo assist: è un centravanti. E tira pure quando non dovrebbe, e smarca pure quando non dovrebbe, perché il gol è la sua vita, e se non vince ogni anno la classifica dei marcatori si sente male. Nei sondaggi interni al Pdl, lui è in calo di gradimento e Angelino Alfano è in crescita: prima di passargli la palla, insomma, ci pensa un bel po’. Oggi non è andato da Vespa, ma è pensabile che smetta definitivamente di stare in prima linea per non fare ombra agli altri? E a cosa si ridurrebbero le sue apparizioni pubbliche? A messaggi alla Nazione? Insomma, questa è una storia tutta da capire. Più facile mi pare invece la risposta alla seconda domanda, quella sull’atteggiamento del Pdl nei confronti di Berlusconi: per quanto assente dalla scena pubblica (ma è tutto da dimostrare), il Papi emerito continuerà a dettare l’agenda sui temi che gli stanno più a cuore, se non altro esercitando un potere di veto a tempo indeterminato su quelli meno graditi. La frase con cui Alfano spiega la propria assenza al vertice con Monti (“Non vado a parlare di Rai e di giustizia”) si traduce da sola e non ha bisogno di commenti. Se le premesse non cambiano, allora, tutto il resto è una boutade: dall’annuncio di una coalizione dei moderati alla futuribile Große Koalition per il 2013, tra un anno i giornali di questi mesi saranno buoni per accendere il camino.
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