Islam in Italia – Viaggio all’interno delle Moschee di Genova – Reportage esclusivo
Islam in Italia – Abbiamo partecipato all’iniziativa “Moschee aperte”, visita guidata alle sale di preghiera islamiche di Genova nelle domeniche del 13 e del 20 dicembre 2015
“As-salāmu ‘alaykum”! Con questo saluto di pace, dopo essermi tolto le scarpe, entro nel Centro Culturale Islamico Masjid Assalām di vico Amandorla 8, vicino al Dipartimento di Architettura di Genova. Un gruppo di ragazzi mi apre il cerchio; presto si aggiungeranno altri giovani di un gruppo scout AGESCI genovese. “Siete cristiani?” “Sì, siamo venuti per l’iniziativa Moschee Aperte”. “Ci fa molto piacere. Purtroppo siamo stati avvisati all’ultimo e non abbiamo avuto modo di prepararvi da mangiare. Questa sala di preghiera è aperta 48 ore su 24, tutto alla luce del sole, chiedete quello che volete e sappiate che potete passare a trovarci quando volete”. I ragazzi vengono da varie parti del mondo; alcuni africani, altri dall’Albania, altri ancora dal Medio Oriente, e rispondono volentieri alle curiosità sulla preghiera e sul modo di orientarsi verso la Mecca – anche gli scout sono pratici di bussole – sino a giungere alle precisazioni sulla dottrina del monoteismo, il tawḥīd, principio cardine della professione di fede, detta shahāda.
“Islām significa sottomissione, e l’unica sottomissione gradita è quella a Dio. In questo mondo invece c’è chi venera topi, fiumi, e persino tombe. Ma è una gravissima ingratitudine! Sarebbe come se un figlio andasse a ringraziare qualcun altro anziché i propri genitori per averlo messo al mondo”, sottolinea il ragazzo che poi reciterà l’invito alla preghiera (adhān) qualche minuto dopo. Ma i giovani del centro culturale – ricavato in un garage – sono interessati soprattutto a noi; chiedono cosa facciamo nella vita, cosa studiamo e – soprattutto – cosa ne pensiamo del terrorismo. Uno scout risponde che i terroristi non c’entrano nulla con l’Islām, sebbene molti giornali facciano confusione. “In effetti, anche noi musulmani siamo molto danneggiati dai terroristi, che fanno di tutto per sembrare musulmani, parlano arabo. Se c’è un 10%, come voi, che non credono alle fandonie che trovano sui giornali, buona parte invece, purtroppo, ci crede. Nell’Islām è proibito persino infastidire un uccellino, figuriamoci uccidere uomini innocenti! Abbiamo anche numerose dichiarazioni di sapienti che condannano questo Isis, o Daesh, che dir si voglia, e ci impegniamo a diffonderle. Anche in uno stato musulmano, voi avete dei diritti nei nostri confronti, come quello della protezione: nessuno può farvi del male. Siamo ragazzi come voi, io ho fatto un istituto professionale qui in Italia e al momento lavoro”. Durante la conversazione, un ragazzo ci offre del succo d’ananas da bere e qualcosa da mettere sotto i denti.
Un uomo di mezza età mostra poi il disappunto nei confronti di chi, con la scusa del terrorismo, ha vietato il velo integrale burqa e niqab addirittura negli ospedali. In realtà una legge che vieta il nascondimento del volto senza giustificati motivi esiste già da decenni, ma i motivi religiosi erano sempre stati considerati una deroga, un “giustificato motivo”; in Lombardia ora non lo saranno più. Il signore, con un forte accento locale acquisito grazie ai tanti anni di permanenza in Italia, lamenta anche il fatto che a Genova non ci sia una moschea vera e propria, ma uno dei ragazzi lo interrompe: “A noi non interessa la politica, non facciamo politica e non vogliamo interessarcene”. Giunge l’ora dell’adhān, con la recita della preghiera del tramonto (ṣalāt al-maghrib) cui ci è dato modo di assistere. Un ragazzo scout ringrazia sentitamente: “Ero stato in alcune moschee in Egitto, ma nel momento della preghiera mi avevano fatto uscire”. I musulmani vanno a fare le abluzioni rituali in un piccolo bagno in fondo, poi si dispongono in riga per salmodiare la preghiera intervallata dall’“Aameen” corale; qualcun altro si aggrega, un po’ in ritardo, nel mentre. Il tutto si conclude con il taslim, il saluto di pace a destra e a manca; il nome stesso di questo centro islamico “Assalām” indica proprio la “pace”. “Dov’è la moschea anche per le donne? Dobbiamo raggiungere le nostre amiche”, domanda uno scout. “Andate in vico dei Fregoso. Purtroppo la nostra sala di preghiera non è ancora attrezzata per le donne, qui non possono entrare”, la risposta. “Vi piace qui? Avete notato che i tappeti sono semplici, non ci sono decorazioni né quadri appesi: prima li avevamo, ma abbiamo preferito rinunciarvi per evitare distrazioni”, puntualizzano.
Ci congediamo e ci dirigiamo allora verso l’altra sala di preghiera. Nel frattempo passiamo da vico del Fornaro 1-3/R, dove ha sede il “Centro Culturale del Centro Storico” di Genova. All’ingresso campeggia un manifesto in formato A2: “Etica e Comandamenti del Profeta Muhammad (s) in guerra”, con specifici divieti: “Non uccidere una donna, non uccidere un anziano, non uccidere un anziano, non uccidere un malato, non uccidere animali se non per fame, non tagliare un albero, non distruggere un edificio, non uccidere un monaco, non forzare nessuno ad essere Musulmano”, e così via.
Islam in Italia – Dalle moschee di Genova l’appello: “No al terrorismo, sì alla pace”
“No al terrorismo, sì alla pace” è l’altra scritta che campeggia, in stampatello maiuscolo, sopra alla finestra principale; accanto, un vassoio con dei biscottini e del the alla menta offerti a chi sosta sull’uscio. Apprendiamo che in questa sala di preghiera aveva appena fatto visita anche il vescovo ausiliario Nicolò Anselmi, vice del cardinale Angelo Bagnasco che con una cerimonia solenne alle 15:30 aveva aperto la Porta Santa della Cattedrale di Genova in occasione del Giubileo della Misericordia. Appunto “misericordia” è una parola chiave anche nell’Islām, dove Dio è definito “al-Rahmān” e “al-Rahīm”: il “Clemente” (verso tutte le creature) e il “Misericordioso” (che rivolge uno sguardo di misericordia specifico per il singolo credente).
Giungo poi a vico Fregoso 52/R, dove ha sede il “Centro Culturale Khalid Ibn Walid”. Anche lì, ovviamente, mi tolgo le scarpe ed entro in una piccola sala leggermente in penombra, dove c’è qualche ragazzo che prega e che studia. “L’incontro è al piano di sotto, vieni con me!”, mi guida uno di essi fuori, per poi scendere una rampa di scale. Mi si apre una sala affollata da un centinaio di persone che ascoltano l’imām rispondere, con ottime doti retoriche, alle curiosità del pubblico; sulla soglia c’è Shaima, una ragazza marocchina che avevo conosciuto in università: mi riconosce e mi accoglie con entusiasmo. Mi mettono in mano un bicchiere di the caldo alla menta e qualche dattero. Non finisce lì: Shaima mi invita dall’altro lato della sala, dove mi presenta sua madre che mi offre un vassoietto con focacce, dolcetti al sesamo e tante altre cose squisite. “Prima c’era il laboratorio per i bambini, davvero molto bello”, commentano alcune famiglie genovesi. Andando a sedermi a gambe incrociate, ascolto anche io il discorso: si parla di pari dignità tra uomo e donna – con qualche frecciatina all’Arabia Saudita, che solo adesso ha permesso il voto femminile alle elezioni municipali – ma anche di differenze l’Islām e il cristianesimo: “Per noi Gesù è uno dei più grandi Profeti, per voi cristiani è il Figlio di Dio; ma su moltissime altre cose la pensiamo allo stesso modo”. Si alza uno dal pubblico: “Chi fu il primo profeta musulmano?”. Pronta la risposta: “Adamo, dal quale discendiamo tutti noi!”
Islam in Italia: tutte le sfumature presenti a Genova
Mi attende infine la visita al “Centro Culturale Islamico Assadaqa” situato in via Prè 73. Avevo già avuto modo di parlare telefonicamente con l’imām Mustafà, egiziano, anche lui da molti anni in Italia; lo riconosco, è impegnato nel distribuire biscotti, datteri, mandarini e pizza ai passanti. Immancabile, anche qui, il the alla menta versato rigorosamente dall’alto. Passa un giovane: “Ciao Mustafà!” Lui, subito, lo riprende: “Ma cos’è sto ciao, si dice as-salāmu ‘alaykum”! Due ragazzi poi mi guidano dentro, dove c’è una piccola stanza con alcuni uomini in preghiera volontaria (duʿāʾ). Le pareti della sala di preghiera presentano alcuni ricami con i nomi di Dio e del suo Inviato, oltre ad un orologio elettronico che indica gli orari delle cinque preghiere obbligatorie, che cambiano ogni giorno. Tra i visitatori, anche qui troviamo alcune donne: “Mio marito ha la barba, ma perché è pigro”. “A me invece non cresce proprio”, ironizza il giovane tunisino che ci accompagna. Lui e il suo amico, entrambi nati a Genova, frequentano ancora le superiori e spiegano come si svolge la preghiera del venerdì, con un sermone che dura una ventina di minuti, preparato dall’imām. Anche loro rispondono volentieri alle curiosità sul Ramaḍān e i modi del digiuno. “Anche i cattolici dovrebbero digiunare il Venerdì Santo, quello che precede la Pasqua, ma sono in pochi a farlo”, commenta la ragazza italiana. Chiediamo anche un parere sulle altre sale di preghiera; notiamo un minimo di diffidenza nei confronti di quella Assalām, la prima da me visitata, la quale peccherebbe di un’eccessiva rigidità “salafita”, che prescinde dall’insegnamento delle scuole sapienziali tradizionali per tornare ad una certa letteralità coranica e ad un rifiuto di certe forme di occidentalizzazione e di “innovazione” (bidʻah); larga parte dei salafiti, come quelli genovesi che abbiamo incontrato, sono pacifisti e rifiutano esplicitamente qualsivoglia impegno politico. Ci consigliano però di visitare anche il Centro Islamico di Genova Sampierdarena in via G.B. Sasso 13, dove “il sermone è anche tradotto in italiano, perché ci sono alcuni, soprattutto albanesi, che non capiscono l’arabo” ed è frequentato da “persone molto qualificate, con specializzazioni e master in islamistica”. Mentre salutiamo il centro di via Prè, ci vengono gentilmente offerte alcune pubblicazioni, tra cui una di Hassan al-Banna, fondatore dei Fratelli Musulmani, movimento con connotati anche politici che punta ad una forma di islamizzazione “dal basso”, con particolare attenzione verso gli strati inferiori della popolazione.
Avviandomi verso la stazione, passo infine di fronte alla “Masjid Al Fagr” di piazza Durazzo 83-85/R, ad un centinaio di metri da via Prè. L’open day è da poco terminato; c’è qualche ragazzo in preghiera ma invitano a tornare domenica prossima per prendere parte ad un altro giorno di apertura speciale. Nel manifesto appeso al portone noto che vi sarebbe anche una settima sala di preghiera, nel quartiere di Bolzaneto, in via Costantino Reta 6/R. Insomma, tutte le “moschee” di Genova sono aperti in occasione di questa iniziativa promossa dal quotidiano Il Secolo XIX – qui il programma – in collaborazione con alcune associazioni sociali e culturali.
La maggior parte dei cittadini genovesi ignora la presenza di questi centri e chi ne ha sentito parlare probabilmente non sa neppure dove siano situati. La loro presenza è preziosa, anche per i corsi di arabo che offrono alla popolazione, oltre ad essere un punto di riferimento per la comunità islamica. Tuttavia meno della metà dei musulmani genovesi frequenta le piccole “moschee” presenti sul territorio; questo implica che chi non partecipa alla vita comunitaria può essere – in via potenziale – maggiormente esposto a letture individuali sviate che non hanno alcun fondamento sapienziale.
Una maggiore conoscenza di questi luoghi di culto, nelle loro diverse sensibilità che ho cercato di mostrarvi, anche dovute alle differenti provenienze di chi li frequenta, può costituire un buon antidoto nei confronti della paura e dell’ignoranza che generano i terrorismi reciproci.