Elezioni Spagna, analogie e differenze con l’Italia
Articolo pubblicato da Daniele Errera il 22/12/2015
Si scrive Spagna 2015 ma si legge Italia 2013. E’ l’impasse politico post elezioni politiche spagnole. Seppur abbia vinto il Partito Popolare del premier Rajoy, il Partito Socialista e Podemos (entrambe formazioni di sinistra) sono secondi e terzi a breve distanza dal PP. Il che non permette una formazione d’esecutivo certa e sicura. Uno scenario d’incertezza che ricorda l’Italia del marzo 2013.
Spagna, Rajoy come Bersani?
Al tempo fu Bersani a vincere. Ma non di molto. Era leader della coalizione che ottenne più voti, ma la lista singola più votata fu il Movimento 5 Stelle. Poi Berlusconi tallonava la coalizione Italia Bene Comune. Infine faceva capolino Mario Monti e il suo gruppo centrista a debita distanza. Una situazione di polarizzazione assurda che, attraverso la legge elettorale Porcellum, diede al Pd ed alleati una forte maggioranza presso la Camera dei Deputati ma che, al solito, produsse i vari problemi di stabilità presso il Senato. Da qui l’impossibilità di formare un Governo Bersani, uomo troppo di parte per molti. Da qui la nomina di Enrico Letta prima e l’exploit di Matteo Renzi poi.
Ora la Spagna: la maggioranza assoluta in Parlamento è di 176 seggi. Una cifra notevole, considerando poi che i Popolari di Rajoy hanno ottenuto ‘solo’ il 28,72% dei voti, corrispondenti a 123 seggi. Il Psoe (socialisti) tallona al 22,02%, con 90 poltrone parlamentari. Quindi gli indignati: quelli di sinistra, Podemos, col 20,65% (69 seggi) e quelli di destra, Ciudadanos, 13,93% (40 seggi). Quattro forze. Proprio come nel 2013, anche se con percentuali e seggi differenti. L’output è sempre lo stesso. Instabilità politica oggi, sociale forse domani.
Elezioni Spagna, in arrivo il compromesso storico?
Prospettive spagnole: ieri il Psoe ha chiuso alla possibilità di una grosse-koalition alla tedesca 2005, quando l’allora leader della Spd tedesca e cancelliere della Repubblica Federale, Gerhard Schröder, acconsentì ad una coalizione assieme alla Cdu/Csu (il partito di centro destra) guidata da Angela Merkel, con quest’ultima in veste di cancelliera. A Madrid non si vedrà perciò il Partito Popolare governare a braccetto col Partito Socialista. Potrebbe pensarsi ad un gruppo delle forze minoritarie (sostanzialmente tutte tranne il PP), ma sarebbe un asse troppo fragile: rischierebbe di spezzarsi ancor prima di nascere. La prospettiva più attuale, quindi, restano le elezioni anticipate. Proprio come in Grecia, nel lontano 2012. Proprio come non si fece in Italia nel marzo 2013, quando le condizioni di instabilità lo permettevano. In Italia c’era un problema di legge elettorale, in Spagna no. E’ la stessa negli ultimi quarant’anni. E’ il sistema politico stesso ad essersi frantumato, polarizzato. Dice bene il leader di Podemos, Pablo Iglesias, quando afferma come “il bipartitismo sia morto”. Almeno in queste elezioni. Ciò, comunque, gli permette di ragionare sulla necessità di un “compromesso storico. È l’ora degli statisti”, che porti “a un compromesso storico nel nostro paese”, conclude il leader degli indignati.
Chi esulta, qui in Italia, è Matteo Renzi. E’ entusiasta, il leader Pd e premier, per una situazione di instabilità che sicuramente – egli crede – non si ripresenterà mai più nel Bel Paese. Merito dell’Italicum, afferma l’ex sindaco di Firenze. “È la Spagna di oggi, ma sembra l’Italia di ieri”, commenta Renzi. Che continua: “di ieri perché ora abbiamo cancellato ogni balletto post-elettorale. Sia benedetto l’Italicum, davvero: ci sarà un vincitore chiaro. E una maggioranza in grado di governare. Stabilità, buon senso, certezze. Punto”.
Daniele Errera