Non è un Natale per tutti. Dal cartello di Pontoglio che rivendicava una non meglio definita “cultura Occidentale e di profonda tradizione Cristiana”, al preside della scuola primaria di Rozzano che decide di abolire i festeggiamenti natalizi per non turbare gli alunni di altre religioni. Per queste festività natalizie del 2015 non sono mancate le polemiche, alimentate anche dal clima di paura che ha seguito gli attentati del 13 novembre a Parigi. Ma l’Italia non è l’unico stato in cui la festività del Natale sembra creare discordia: in Somalia la festività cristiana è vista come una minaccia alla fede musulmana, idem per il Tajikistan che ha vietato il Natale e proibito i festeggiamenti del Capodanno, compreso l’allestimento di eventuali alberi o addobbi e lo scambio di regali nelle scuole
In almeno dieci nazioni il Natale non è o non è stato il benvenuto, questo quanto riportato in un articolo dell’International Business Times. Quest’anno oltre alla Somalia e al Tajikistan, anche il Sultanato del Brunei si è unito al coro dei contrari, mettendo fuori legge non solo il Natale ma tutte le festività cristiane. Il Sultano, padrone di catene di hotel in tutto il mondo, l’anno scorso ha introdotto la Sharia e per tale ragione ritiene che vestirsi da Babbo Natale possa urtare e offendere le credenze religiose dei fedeli musulmani. La lista continua con l’Arabia Saudita, in cui la legge proibisce ai musulmani persino di fare gli auguri ai non musulmani, visto come un atto di apprezzamento della religione cristiana. Altra nemica del Natale è la Corea del Nord dove, nel 2013, un gigantesco albero addobbato dalla Corea del Sud lungo il confine rischiava di diventare un casus belli. Sempre nel 2013 la Somalia ha deciso di vietare, con una direttiva del ministero della Giustizia e degli Affari Religiosi, qualunque festività o ricorrenza cristiana. Da quest’anno sarà proibito anche festeggiare il Capodanno e le forze di polizia hanno l’ordine di disperdere qualunque raduno.
Natale proibito: dove non è più di casa
L’avversità al più generale spirito natalizio non è un fenomeno odierno, magari dovuto a quel famoso “scontro di civiltà” che ai media piace tanto raccontarci. In Albania è stato vietato dal 1967, quando lo stato è stato dichiarato costituzionalmente ateo, fino al 1990 quando cristiani e musulmani hanno potuto riprendere a praticare i loro credo. A Cuba i festeggiamenti del Natale sono stati riammessi e resi festa nazionale solo nel 1998, grazie alla pressione fatta da Giovanni Paolo II e Fidel Castro. Anche la Cina veva bandito il Natale e il cristianesimo dopo il 1949, nonostante ciò il Natale consumistico ha riconquistato le strade e i portafogli dei cinesi, tanto che i costumi da Babbo Natale innondano le strade di Shanghai e Pechino in questo periodo dell’anno. Infine, nella lista dei nemici del Natale, i più insospettabili Stati Uniti e l’Inghilterra.
I cristiani puritani arrivati nel Nuovo Mondo bandirono la festa del Natale dal 1620 al 1681, ritenendola in qualche modo pagana e considerando come unico giorno sacro il sabato. Lo stesso accadde a Boston, dove il Natale venne proibito per 22 anni, diventando una tradizione consolidata solo dalla metà del 1800. In Inghilterra, invece, le festività natalizie non sono mai state proibite ma caldamente sconsigliate dal 1647 al 1660, quando il governo era in mano ai puritani.
La guerra al Natale perciò non viene soltanto dai musulmani ma, nella storia, ha caratterizzato anche le varie correnti cristiane. Anche se oggi la Terra Santa, il luogo dove si narra che sia nato Gesù, è uno dei posti più ostili al cristianesimo, come dimostrano le parole di un ebreo estremista appartenente a Lehava, organizzazione di estrema destra. Secondo quanto riportato dal The Telegraph, Benzi Gopstein, capo di Lehava, il cui significato è “prevenzione dell’assimilazione in Terra Santa”, ha affermato che in Terra Santa non c’è posto per il Natale e ha chiesto allo Stato di vietarne i festeggiamenti. Secondo il Movimento israeliano per un Giudaismo riformato e progressista, Israel Movement for Reform and Progressive Judaism, queste affermazioni sono da collocare in un contesto di continui atti di violenza contro la comunità cristiana in Israele negli ultimi anni.
Sembra proprio che una festa destinata a unire, ultimamente non sia altro che l’ennesimo pretesto per dividere.