Gay e con una T-Shirt sull’Ucraina, costretto al suicidio nella Russia di Vladimir Putin

Pubblicato il 30 Dicembre 2015 alle 18:05 Autore: Gianni Balduzzi
Vladimir Putin, volto di Kolesnikov

Gay e con una T-Shirt sull’Ucraina, costretto al suicidio nella Russia di Vladimir Putin

In Occidente ormai è Putin-mania in alcuni Paesi, come l’Italia, in altri come l’Inghilterra l’opinione sul presidente russo è comunque migliorata, e non di poco.

Vladimir Putin e la sua Russia però non sono cambiati. Questa è la storia di tanti, in questa occasione è finita peggio, nella maggior parte dei casi continua in un destino di umiliazione che non vede fine. Vale la pena però di raccontarla. Come viene riferita da Radio Free Europe, almeno.

Il suo protagonista si chiamava Vladislav Pavlovich Kolesnikov, e aveva 18 anni.

Picchiato dai compagni di classe, cacciato di casa e perseguitato dalla polizia

Viveva a Podolsk, nell’immenso hinterland di Mosca con il nonno, come altri milioni di russi, ma ha fatto due sbagli, almeno per la mentalità russa, essere gay e indossare una t-shirt con una bandiera ucraina sulla quale era stampata la frase “Ridate la Crimea”. Nel primo caso sappiamo che non è stata una scelta, non la maggioranza dei russi la pensa così, in ogni caso da quelle parti è una grande sfortuna, nel secondo di questi tempi è come un tradimento della Patria.

E così dal giorno in cui ha indossato la maglietta per Vlad è cominciato il calvario, picchiato quasi quotidianamente dai compagni di scuola, che gli gridavano “khokhol” e “pidoras”, insulti destinati normalmente a ucraini e gay.

Riempito di lividi, non ha avuto alcuna solidarietà, ma è stato espulso dalla scuola, dopo essere stato prelevato e interrogato dalla polizia per quel suo gesto. Quello e l’aver fatto trillare una suoneria con l’inno ucraino alla caserma durante la visita di leva, visita in cui ancora è stato schiaffeggiato dai militari e poi riformato per “problemi psichiatrici”. “di personalità”, nello specifico.

Il nonno a questo punto l’ha cacciato di casa, ed è stato costretto a trasferirsi vicino Samara, a Žigulëvsk.

Vladimir Putin, volto di Kolesnikov

“Non riesco nemmeno a ricordare quante volte sono stato picchiato, solo cammino lungo il corridoio della scuola e qualcuno mi chiama ‘cagna’ e mi colpisce nell’orecchio.”

A Žigulëvsk non è finita però, la sua “fama” si era diffusa, anche nella nuova scuola pugni, sputi, fango e neve addosso, mentre il nonno affermava di vergognarsi del nipote. La polizia locale poi l’interrogava e gli giurava che non avrebbero mosso un dito se qualcosa gli fosse accaduto, che se avessero potuto l’avrebbero picchiato anche gli agenti che in un Paese civile, invece, avrebbero dovuto proteggerlo.

Tutte queste cose le comunicava a Claire Bigg, giornalista di Radio Free Europe, cui il ragazzo si era aggrappato e con cui chattava e a cui diceva cose del tipo “Se non ci sentiamo nei prossimi 2-6 giorni, può scrivere [di me]. Vuol dire che sono morto, Ho preso una dose letale, scusatemi

Il pensiero del suicidio lo aveva sempre sfiorato, a lui e al suo unico compagno di Podolsk, di cui si era anche innamorato, e che era stato ricoverato, alla moda sovietica, in un istituto psichiatrico per la sua opposizione all’occupazione della Crimea.

Così il 25 dicembre la solitudine assoluta, la mancanza di ogni appoggio, da parte della famiglia, della scuola, dell’autorità, l’ha portato al suicidio, con un’overdose di farmaci.

Una persona normale in un posto anormale, che si nutre dei soliti vecchi miti del nazionalismo, del culto di vecchi valori distorti, dell’omofobia.

E che sta provando a spandere il contagio per l’Europa

Vladimir putin, a una kermesse del suo partito

 

 

 

L'autore: Gianni Balduzzi

Editorialista di Termometro Politico, esperto e appassionato di economia, cattolico- liberale, da sempre appassionato di politica ma senza mai prenderla troppo seriamente. "Mai troppo zelo", diceva il grande Talleyrand. Su Twitter è @Iannis2003
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