I gufi hanno ragione? L’economia italiana non riesce a recuperare i livelli europei
La maledizione dell’Italia sembra continuare, nonostante i titanici sforzi del premier Renzi nel sottolineare che ormai siamo passati al segno più, come a dire che questo basta, in realtà anche nella fase di recupero dalla lunga crisi siamo di fronte a un declino.
Che non sarà nei numeri assoluti, ma in quello che più conta, ovvero nel confronto con i vicini europei. Perchè in economia sono importanti i dati relativi più che quelli nominali, e così se si dice che la Cina è “in crisi” perchè cresce “solo” del 6%, l’Italia lo è se lo fa costantemente meno degli altri Paesi UE e se la stessa dinamica deludente l’hanno gli altri indicatori.
Economia italiana, in calo l’export e gli investimenti.
E’ il ministero dello sviluppo economico, non qualche giornale polemico con il governo, a stila un report di fine anno in cui vi sono i dati sulla prosecuzione del declino italiano.
I dati più gravi riguardano lo stop alle esportazioni, nonostante l’euro debole, e la prosecuzione del calo degli investimenti.
Nel 2015 la crescita economica è stata trainata dai maggiori consumi e dalla ricostituzione delle scorte, e non come negli anni passati dall’aumento delle esportazioni. E’ una cosa che non ci si aspettava. Lo stop alla domanda mondiale, ma soprattutto della Cina, ci colpisce direttamente, e più di altri.
Una ripresa della domanda interna che riguarda i consumi delle famiglie, favoriti da un livello di fiducia ai massimi, mai raggiunti prima, cui corrisponde un aumento dei consumi in realtà flebile.
Il timore è che si tratti di una bolla di fiducia conseguente all’ottimismo pompato dal governo, che però non trova corrispondenza alla lunga con la realtà.
D’altronde verso le famiglie c’è stata una ripresa lieve del credito dopo due anni e mezzo, ripresa che non si vede invece verso le imprese, e anzi in autunno è tornato a diminuire, con conseguenze che si vedono sul livello degli investimenti, che infatti calano dello 0,4%, dello 0,9% quelli in macchinari e attrezzature
Infatti la produzione industriale come i consumi cresce, ma lievemente, + 0,2% trimestre su trimestre, sulla scia di una fiducia che anche in questo caso tocca dei record, ma appare completamente slegata dalla realtà
La esportazioni, si diceva. L’economia italiana aveva beneficiato proprio dall’aumento di queste, in particolare quelle verso le destinazioni extraeuropee, ed era per questo export che si era lenito il crollo del PIL tra fine 2011 e 2015.
E però proprio in queste esportazioni verso i Paesi non facenti parte della UE vi è ora un calo, anche piuttosto pronunciato, -5,9% tra il terzo e il secondo trimestre, che fa calare del 3% quelle totali.
Tutto però è funzionale ad una cosa: l’occupazione.
Occupazione che è salita in Italia di 75 mila unità tra ottobre 2015 e ottobre 2014, agli ultimi dati disponibili dunque. Decisamente meno che in altri Paesi in uscita molto più veloce dalla crisi come Spagna e Portogallo, come vedremo.
La disoccupazione va meglio, anche però grazie al ritorno all’aumento del numero degli inattivi, come fa notare lo stesso Ministero dello Sviluppo.
Economia italiana e confronto con l’estero, piuttosto impietoso
Perchè guardare a questi decimali, a questi “zero virgola”? Perchè da moltissimi anni piccoli zero virgola che si sono accumulati hanno prodotto quella distanza dell’Italia dal resto dell’Europa che ora paghiamo ed è vitale osservare se c’è un inversione di tendenza.
Ebbene, non c’è.
Il report del ministero si premura di fare un confronto con gli altri Paesi europei, i più grandi, e si vede bene come il recupero dai minimi della crisi sia il più piccolo in Italia, nonostante il nostro Paese sia spesso quello che più ha subito dei cali in vari indici, sia la produzione industriale tout court o nel settore delle costruzioni. C’è solo un recupero del 3% nella prima contro il 7,5% della Spagna, e la distanza del 31,2% dall’inizio della crisi sembra incolmabile.
Anche il calo del tasso di disoccupazione è minimo, solo la Francia fa peggio, la Spagna che ha il tasso maggiore, 21,6%, in realtà ha recuperato un 4,7% contro il nostro 1,6%. Idem per l’occupazione giovanile, migliorata solo dello 0,9%, anche se in questo siamo ancora più indietro della Spagna stessa. Meno di un giovane su sei lavora.
Questi dati sono gravi in particolare perchè confermano quei deficit strutturali di cui non a caso parlano i membri della Commissione Europea Dino Pinelli, István P. Székely e Janos Varg nel loro articolo per Voxeu.org.
Gli economisti sottolineano come ormai da 20-25 anni l’Italia si sia distaccata dagli altri Paesi in termini di PIL e produttività dei fattori.
Tra le cause individua il basso livello di istruzione della forza lavoro, con il numero minimo di laureati tra i Paesi occidentali, e un recupero tra i giovani rispetto ai più anziani basso, troppo basso per un Paese che parte da livelli così ridotti.
E non solo, anche la bassissima spesa in ricerca e sviluppo, e in investimenti di venture capital o di private equity.
Le raccomandazioni sono le stesse, aumentare l’istruzione, cosa che avrà effetto nel lungo periodo, o l’immigrazione di personale istruito nel breve, e poi nei prossimi anni spostare la tassazione dal lavoro ai consumi.
Puntare alla produttività. Sarà ascoltato da chi si mostra ottimista per i tagli alle tasse sulla casa?