Situazione Libano: uno Stato alla ricerca del Presidente
E’ dal maggio del 2014 che il Libano non ha più un Presidente della Repubblica. E il motivo non è politico ma confessionale. Stando a quanto stabilito dal Patto Nazionale del 1943, atto di fondazione dello Stato multiconfessionale – il presidente deve essere necessariamente un cristiano maronita mentre il primo ministro un musulmano sunnita e il presidente del Parlamento un musulmano sciita. Questa inflessibile tripartizione confessionale ha generato uno scompiglio tale che le forze politiche libanesi, dopo la fine del mandato di Michel Suleiman nel maggio del 2014, non sono più riuscite ad accordarsi sul nome del suo successore.
Situazione Libano: nessun Presidente, nessun Governo
Tra le conseguenze determinate dall’assenza di un Capo dello Stato, quella che più tange gli interessi della popolazione è l’impossibilità da parte del governo di legiferare, se non all’unanimità. Il che rende evidentemente molto complessi i lavori parlamentari, ridotti – di fatto – allo stallo sul fronte delle riforme per rilanciare l’economia del paese. Di qui le numerose proteste che si sono susseguite nel paese e nella capitale Beirut.
Presidente, giovedì le elezioni
Fino ad ora sono state 33 le assemblee parlamentari andate a vuoto per la nomina del nuovo presidente. Un insuccesso non insolito e soprattutto non inspiegabile alla luce del meccanismo previsto per l’elezione della più alta carica dello Stato.
La Costituzione libanese prevede infatti che il Presidente maronita venga eletto dai due terzi del Parlamento al primo turno e da una maggioranza semplice in quelli successivi, ma occorrono sempre i due terzi del Parlamento per convocare l’elezione. Soglie quasi sempre impraticabili se si considera che la confessione religiosa ‘richiesta’ per assurgere all’alto rango di funzionario dello Stato non è l’unica presente in Parlamento. Nel Libano sono presenti anche cristiani ortodossi, quelli di rito armeno, le confessioni siriache e copte, una piccola comunità ebraica e gli altri musulmani quali gli alawiti e i drusi. I drusi, in particolare, giocano un ruolo politico decisivo grazie al loro leader storico, Walid Joumblatt. Ed è per questo che anche l’esito della nuova assemblea parlamentare prevista per il 7 gennaio è tutt’altro che prevedibile.
Situazione Libano, la mediazione sul candidato
L’ultima assemblea parlamentare, anche questa fallita nel suo scopo, è stata quella del 16 dicembre. Poco prima era stata annunciata la candidatura a presidente di Suleiman Franjieh, leader del “Movimento Marada”. Frutto di un accordo tra l’ex primo ministro Saad Hariri e il druso Walid Joumblatt, la candidatura di Franjieh pare possa essere la chiave di volta della crisi politica libanese. Le fazioni partitiche sembrano infatti determinate a scegliere il nuovo presidente, convincimento rafforzato anche alla luce dell’attentato del 12 novembre scorso rivendicato dall’Isis. Un tragico evento in cui hanno perso la vita ben 40 persone e che pare possa essere il mordente giusto per arrivare a una risoluzione definitiva. Ma se la storia è maestra e le 33 assemblee parlamentari le sue ancelle, fare previsioni è ormai un puro esercizio di stile.