Crimea? Per la Coca Cola è Russia
Questo non è un periodo facile per le multinazionali che fanno business tra Ucraina e Russia. Per esempio, la Coca-Cola durante le vacanze di Capodanno è stata costretta a rispondere alla domanda: la Crimea è russa o ucraina? Il 30 dicembre, è stato caricato su VKontakte, il social network russo più popolare, un post con una carta geografica della Russia. All’occhio non c’era nulla di strano; ma per un patriota russo era offensivo: non segnalava come parte della Russia la regione di Kaliningrad, le Isole Curili e la Crimea. Ciò ha provocato un’ondata di critiche dei nazionalisti russi, che hanno obbligato la società a correggere l’errore e ad inserire le tre regioni nella carta. Pochi si sono preoccupati di Kaliningrad e delle isole Curili, ma i blogger pro-Putin hanno celebrato l’inclusione della Crimea con post trionfanti.
Crimea? Per la Coca Cola è Russia
Per gli ucraini, invece, la nuova carta è stata un affronto. Mustafa Nayyem, un membro del partito presidenziale in parlamento, ha chiesto il boicottaggio della Coca-Cola insieme ad altre bevande analcoliche della società. Posizione sostenuta anche dai nazionalisti ucraini guidati da Oleg Tyagnybok, il capo del partito di estrema destra Svoboda. In poche ore, l’hashtag #BanCocaCola è diventato un trend su Twitter. Preoccupata, l’ambasciata ucraina a Washington ha sostenuto che la carta geografica modificata dalla Coca-Cola “violasse la posizione ufficiale degli Stati Uniti” e ha esortato a “correggere immediatamente l’errore”. L’azienda in un comunicato ufficiale ha sostenuto di non aver autorizzato nessuna modifica alla prima mappa: “L’agenzia che ha creato il post ha fatto le modifiche senza la nostra approvazione. Noi, come società internazionale non prendiamo posizioni politiche non correlate alla nostra attività, ci scusiamo per il controverso post che abbiamo già provveduto a rimuovere”.
In altre parole, la Coca-Cola considera l’attribuzione della Crimea una questione di politica, non di fatto. Il terreno è infido: meglio non impegnarsi. Alla fine, si tratta solo di bevande, ma nel mondo di Putin e dei suoi appassionati amici, però, tutto, anche una bibita analcolica, o è con loro o è contro di loro. La Coca-Cola non è l’unico grande produttore di beni di consumo ad essere entrato in difficoltà a causa di questo scollamento tra attività apolitica e mondo iper-politicizzato in cui si trova ad operare. Fino al 3 gennaio, infatti, il sito russo della PepsiCo conteneva una carta geografica dove la Crimea era posta sotto la Russia; il giorno dopo tale mappa è stata rimossa. Con questa semplice manovra, la Pepsi ha evitato una montagna di domande scomode. La tedesca Adidas, dal canto suo, non s’è presa la briga di modificare gli indirizzi e i codici postali che indicano la Crimea come parte della Russia.
“Google Translate”, invece, per alcuni giorni ha tradotto in ucraino il termine “Russia” con “Mordor” (la regione fittizia del “Signore degli Anelli”, il regno del malvagio Sauron), inoltre, convertiva il termine “russi” in “occupanti” e il nome Sergei Lavrov, che poi è quello del ministro degli Esteri di Mosca, in “cavallino triste”. Il 5 gennaio, con le ampie scuse di Google, il bug è stato corretto. La posizione delle multinazionali può essere ambigua, ma la Russia, contrariamente all’Unione Sovietica, è un paese aperto. Le multinazionali probabilmente dovrebbero essere ringraziate per non prendere posizione nella velenosa guerra di propaganda iniziata da Putin: le guerre un giorno finiranno, ma la cola, le scarpe da ginnastica e Google, si spera che rimangano al loro posto.
Gabrielis Bedris