Valerio Zanone e quei protagonisti della Prima Repubblica divenuti eroi della Seconda
La scorsa settimana ci ha lasciato Valerio Zanone. Un protagonista indiscusso della Prima Repubblica, per nove anni segretario di una forza politica (il PLI) e protagonista del Pentapartito nel culmine del suo splendore.
Parlamentare, Ministro e Sindaco (poco prima dell’approvvazione della legge sull’elezione diretta dei primi cittadini) Zanone si trovò a guidare il Partito Liberale in una contigenza storica quanto mai critica per tutto il liberalismo italiano.
A seguito del lungo regno del padre-padrone Giovanni Malagodi (18 anni di segreteria in cui i Liberali toccarono il loro massimo storico, col 7.1% delle politiche del ’63) e della sbiadita parabola di Agostino Bignardi, fu affidato proprio a Zanone il compito di risollevare un partito al suo minimo storico in termini elettorali.
Portò avanti il suo compito con posizioni molto spesso eterodosse per il liberalismo tradizionale, in un periodo in cui si sperimentavano in paesi come il Cile quelle istanze economiche neo-classiche che con la Thatcher e Reagan si sarebbero fatte “pensiero unico dominante”.
E allontanò il suo partito da quelle posizioni che lo avevano spesso portato a divenire una sorta di camera politica di compensazione degli interessi di Viale dell’Astronomia.
Con Zanone, nonostante la piemontesità, sembrò per un momento che il concetto einaudiano secondo cui non si potesse prescindere dal legame d’unione tra liberismo e liberalismo fosse venuto meno.
A seguito della sua segreteria, con l’inizio dell’era Biondi e successivamente di Altissimo e di Raffaele Costa, la sua eredità si sentì moltissimo. E ciò spinse all’interno del partito lo sviluppo di istanze minoritarie e di opposizione da destra (particolarmente significativo appare da questo punto di vista la candidatura di Antonio Martino a segretario del partito al congresso nazionale del 1988).
E fin qui, la storia.
Valerio Zanone dopo la Prima Repubblica
Ma Valerio Zanone ha avuto anche un grande pregio. Perché nel corso del mondo post-Tangentopoli è riuscito ad inserirsi pienamente in quell’insieme di esponenti politici che proprio non ne volevano sapere di lasciare la politica attiva.
E capaci di assumere, dopo aver ricoperto il ruolo di protagonisti per molti anni, la veste di veri e proprio eroi dei micro-partiti nazionali.
Nel 1994 la galassia liberale si divide in differenti rivoli: c’è chi sceglierà di inseguire la rivoluzione liberale berlusconiana all’interno di Forza Italia oppure chi formalmente preserva la tradizione liberale per però stringere veri e propri patti coalizionali con il Polo della Libertà (l’Unione di Centro).
Zanone fa un’altra scelta. Sceglie il centro politico, quel variegato schieramento terzista che vede Mariotto Segni come suo cavallo di razza. A sostegno della coalizione del Patto per l’Italia infatti vediamo il Partito Popolare di Mino Martinazzoli, il Patto Segni, il Partito Repubblicano e l’Unione Liberaldemocratica di Valerio Zanone (assieme ad altri esponenti sparsi del futuro centrosinistra ulivista).
Un partito-personale, minuscolo, incapace di presentare proprie liste alle elezioni politiche. Ma che marca il terreno del liberalismo classico, fornendo alla coalizione la veste di Arco Costituzionale in formato bonsai.
Successivamente Zanone fa confluire la sua Unione all’interno della più “vasta” Federazione dei Liberali. Un piccolo movimento quasi sempre più d’opinione che altro, ma che ha il grande merito di compiere una scelta controcorrente sostenendo (così come il PRI di La Malfa) il centrosinistra di Romano Prodi alle elezioni del 1996.
A seguito del 2001, con la nascita di un vero e proprio soggetto di marca liberaldemocratica (ma dalle venature popolari) come la Margherita, il suo Presidente Francesco Rutelli cerca di allargare il fronte ad altre culture politiche come gli ex socialisti Giusi La Ganga e proprio Valerio Zanone.
Zanone verrà anche rieletto senatore nel 2006, per sancire questa operazione politica della Margherita che ad oggi ha quasi il sapore concorrenziale nei confronti di analoghe aperture che in quel periodo portarono avanti i Democratici di Sinistra (allora, nella Quercia, c’era il mito degli ex socialisti come ben ricordano la presidente del III congresso nazionale Beatrice Magnolfi, i vari Francesco Tempestini e i vari correttori di bozze del libro “Per Passione” di Piero Fassino).
Valerio Zanone fu dunque a tutti gli effetti uno dei fondatori del Partito Democratico, portando in dote la cultura del liberalismo politico all’interno di questa formazione politica.
Una vicenda che ben rappresenta il destino di molti personaggi tra Prima e Seconda Repubblica. Esponenti politici di riguardo che sono riusciti comunque a svolgere un ruolo significativo, svolgendo il compito di punti di riferimento per creature politiche della Seconda Repubblica. Partito quasi sempre appannaggio dei cultori e dei drogati di vita parlamentare.
Valerio Zanone in questo senso si inserisce nelle categorie dei vari Luigi Preti, costituente ed esponente PSDI capace di svolgere un ruolo culturalmente significativo per il centrodestra a trazione berlusconiana, e dei vari Pino Rauti, segretario di un partito della Prima Repubblica e poi leader di movimenti minuscoli nella Seconda. Per non parlare poi di Flaminio Piccoli e di Gianni De Michelis. Il primo con la sua Dc personale (dopo essere stato segretario di quella ufficiale) ed il secondo passato dal ministero degli affari esteri al segretario di un partito come il Nuovo Psi.
Tutti, a loro modo, destinati a restare nel cuore e nella mente dei più sinceri appassionati di politica.