Prezzo petrolio ancora in calo: quali contromisure da parte dei produttori?
Il prezzo del petrolio continua a sfondare nuovi minimi non toccati da anni, smentendo – al momento – anche una delle profezie per il 2016 da parte del Financial Times, che preconizzava un anno con un tendenziale rialzo della quotazione dell’oro nero. E così c’è chi – come il Sole 24 Ore – sta già immaginando un mondo in cui il petrolio raggiunga la fatidica soglia psicologica dei 20 dollari, un’ipotesi rafforzata anche dalle recenti previsioni negative delle principali banche d’affari internazionali, da Goldman Sachs a Morgan Stanley.
Dei motivi del calo del prezzo del petrolio si sa già molto, dalla guerra geopolitica scatenata in seno all’OPEC sul versante di un’offerta che resta ancora molto alta – e potrebbe essere ulteriormente sostenuta dal rientro nel mercato di un forte produttore come l’Iran – sino ai problemi sul versante della domanda, con previsioni ottimistiche di crescita messe in dubbio dalle difficoltà attraversate da uno dei maggiori compratori come la Cina. Ma come stanno reagendo a tutto ciò i Paesi produttori?
Oil prices crashed below $30 a barrel on Tuesday for the first time since December 2003 https://t.co/n6HblQsaPZ pic.twitter.com/3Lc1Btsy5X
— CNNMoney (@CNNMoney) 14 Gennaio 2016
Prezzo petrolio: le mosse dei produttori
Tra i fautori di questa guerra sul versante dell’offerta c’è l’Arabia Saudita, delle cui rischiose mosse abbiamo già parlato, sottolineandone gli impatti negativi sulle finanze di Riyad. Ma oltre ai sauditi ci sono anche altri grandi produttori del Golfo come Emirati Arabi, Qatar, Bahrein, Oman e Kuwait, senza dimenticare altre potenze mediorientali come Iran ed Iraq. Tutti chiamati, come Riyad, a frenare le perdite sul versante petrolifero con bruschi tagli sul comparto della spesa interna.
Ma oltre al comparto della spesa interna – dalla sanità, all’assistenza sociale passando per l’istruzione – a rischio è anche il settore della difesa, che potrebbe subire pesanti tagli. Che, ovviamente, si ripercuoterebbero sui grandi produttori di materiale bellico, come per esempio gli USA.
Poi ci sono anche quei produttori che, loro malgrado, si trovano a “subire” gli effetti della guerra sul petrolio. A partire per esempio dalla Russia che, già in recessione, ha annunciato nuovi tagli di spesa dopo quelli già messi in atto negli ultimi mesi per frenare una congiuntura economica particolarmente sfavorevole, complicata ulteriormente dalle sanzioni e dall’incremento delle spese militari per fronteggiare l’escalation della tensione in Ucraina e nel Baltico. Per non parlare di Paesi produttori in condizioni economiche ancora più precarie, come per esempio Brasile e Venezuela.
Chissà che tutto questo insieme di conseguenze non possa spingere l’OPEC – come sottolineato dal Sole 24 Ore – a rallentare la morsa e frenare l’offerta, anche in virtù di un’offerta non OPEC che si prevede più bassa rispetto al passato. In ogni caso, la palla passa, ancora una volta, a Riyad.