E’ reato insultare i politici?
“Stupido”, “asino”, “ladro”, “mafioso”. Da quando la politica ha invaso i social network – da Facebook, a Twitter passando per Instagram – la rete si è trasformata in una grande arena pubblica in cui le massime cariche dello Stato possono interagire con i cittadini in modi molto diversi. Ormai, infatti, la disintermediazione è compiuta: oggi ogni esponente politico ha almeno un profilo twitter per i cinguettii estemporanei, una pagina facebook per le riflessioni più articolate e magari anche un account su Instagram in cui si improvvisa come il nuovo Cartier-Bresson de’ noantri. Sui social, però, il confine tra una discussione ben disposta e il più becero “trollaggio” diventa piuttosto labile e così il dibattito pubblico diventa una grande bolla mediatica in cui zampillano quotidianamente ingiurie e calunnie. E’ il fango bellezza, e tu non ci puoi far niente!
Ora, la domanda che ci poniamo è la seguente: insultare politici è lecito?
Dalla quantità di offese che i rappresentanti della nostra classe dirigente ricevono tutti i giorni, sembrerebbe di sì. Certo, attribuire la responsabilità di qualunque sventura ci capiti ai rappresentanti di cariche pubbliche – “piove, governo ladro!” – è abitudine ormai consolidata. Esiste da quando esiste la politica e, quindi, non abbiamo certo noi la tracotante pretesa di sradicarla.
Altra premessa. La nostra domanda potrebbe essere facilmente capovolta: è lecito che i politici insultino i cittadini? A questa possiamo rispondere con più sicurezza: sì. Ormai, se il vicepresidente del Senato Maurizio Gasparri dà della “cicciona” (testuale) alla giovane fan di Fedez, lo fa perché sicuro della propria impunità. La povera ragazzina potrà anche querelarlo, ma Gasparri – in quanto Senatore della Repubblica – potrà ergere lo scudo, ormai abusato, dell’immunità parlamentare. Quindi, un Gasparri o un Buonanno qualunque potranno continuare a diffamare chiunque con la certezza che non saranno chiamati a rispondere dei propri spropositi come qualunque altro cittadino.
Detto questo, la questione dirimente è un’altra: insultare un rappresentante delle istituzioni è un reato?
A questa domanda ha tentato di rispondere l’avvocato Gabriella Filippone con uno studio del 2013 pubblicato sul sito giuridico studiocataldi.it. Lo studio mette a confronto tre sentenze di Cassazione diverse tra loro.
La prima risale al 7 giugno 2006 (n. 19509) in cui la Suprema Corte decise di annullare la multa di 500 € inflitta dal giudice di pace di Milano a Piero Ricca, oggi giornalista del fattoquotidiano.it, per aver “offeso l’onore e il decoro” dell’allora Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi con le seguenti parole: “Fatti processare, buffone! Rispetta la legge, rispetta la democrazia o farai la fine di Ceausescu e di don Rodrigo”. La Corte interpretò l’espressione come “forte critica” speculare per intensità “al livello di dissenso nell’ambito politico e nell’opinione pubblica dalla delicatezza dei problemi posti ed affrontati dalla persona offesa”. Inoltre i giudici di Cassazione confermarono un principio già espresso in altre due sentenze precedenti: “la critica può esplicarsi in forma tanto più incisiva e penetrante, quanto più elevata è la posizione pubblica della persona che ne è destinataria”. Riguardo alla parola “buffone” poi la Corte aveva fatto un paragone con la sentenza 10/1997 della Corte Europea che aveva ritenuto violato l’articolo 10 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, dopo che un direttore di un giornale austriaco era stato condannato per aver definito “idiota” il leader del partito liberale di quel paese. Questo, sostenne la Corte Europea, per tre motivi: 1) la libertà di espressione non vale solo per le “informazioni” e le “idee” recepite favorevolmente, ma anche per quelle che indignano ed offendono; 2) i limiti alla protezione di un uomo politico sono molto più estesi in quanto la tutela della sua reputazione deve essere bilanciata con “l’utilità della discussione pubblica”; 3) “se l’espressione ‘idiota’ può essere offensiva dal punto di vista obiettivo, è anche vero che essa appare proporzionata all’indignazione suscitata dallo stesso ricorrente”.
Anche in una seconda sentenza – n°9084 del 2008 – la Corte aveva annullato senza rinvio la multa a 5.000 € inflitta dalla Corte d’Appello di Milano ad un Consigliere Comunale di Como che aveva definito “Giuda” un suo compagno di partito (Forza Italia). I giudici aveva interpretato la definizione di “Giuda” non come un’offesa ma come una “critica politica dell’imputato” reo di essersi dissociato dalla linea ufficiale del gruppo politico “ponendosi anche nelle condizioni di una successiva espulsione dal partito”. Così – scrivevano i giudici – la comunicazione riguardava “un tradimento a connotato chiaramente politico e del tutto scevro da profili di corruttela, dai quali il termine giuda, nell’uso comune, è ormai disancorato”. Assolto. “Giuda” si può dire: non è reato.
Quindi, se dovessimo rispondere alla nostra domanda iniziale in base alla giurisprudenza, dovremmo sostenere senza timore di essere smentiti che no, non è un reato insultare i politici.
In realtà, con la sentenza n°4037 del 20 dicembre 2011 i giudici di Via Cavour hanno aperto uno squarcio nella giurisprudenza. Infatti, con quella massima, i togati della V sezione penale annullarono l’assoluzione per un Consigliere Comunale di Cosenza che, in sostanza, aveva accusato un collega del Comune di Rota Greca (CS) “di farsi gli affari suoi in comune e di favorire imprese edili amiche”. I giudici scrivevano che, nonostante una critica possa essere “molto aspra” e non necessariamente “obiettiva”, quest’ultima “deve essere sempre espressa in modo continente e non deve trasformarsi in un puro attacco personale”. Inoltre “deve poggiare su un dato fattuale vero”. Ergo: questo vuol dire che si è “liberi di interpretare un fatto o una condotta” ma il fatto e la condotta che vengono criticati “debbono essere veri, altrimenti non può parlarsi di corretto esercizio del diritto di critica”. Che tutto sia cambiato?
Giacomo Salvini
Twitter @salvini_giacomo