Nessuno si sarebbe aspettato un Pd oltre il 34%. In pochi pensavano Renzi potesse eguagliare il record storico di Walter Veltroni alle elezioni politiche del 2008. Ma soprattutto nessuno poteva pensare al “raddoppio”, con un Grillo con quasi la metà dei voti rispetto al fronte democratico. Che il Pd sarebbe stato il primo partito del paese era cosa nota. La dinamica elettorale degli ultimi dieci giorni ha visto il presidente del consiglio Matteo Renzi “scendere in campo”. Mai nella vicenda politica del fiorentino i suoi destini personali hanno coinciso così tanto a quelli del suo partito: dopo l’ingresso “anomalo” a Palazzo Chigi un giudizio sul suo governo sarebbe giunto dal voto al Pd (senza il suo nome sulla scheda, tra l’altro).
Negli ultimi dieci giorni Renzi dunque stato, per la prima volta da febbraio, prima segretario di partito e poi capo del governo. La dinamica elettorale vedeva un Renzi in testa ma sulla difensiva e un Grillo all’attacco e capace di recuperare. Secondo qualche istituto demoscopico addirittura il Movimento 5 Stelle si sarebbe piazza a due-tre punti percentuali di distanza dal partito di Renzi. Invece ha vinto la “vocazione maggioritaria”: il famoso elettorato potenziale del Pd (da anni stimato al 41%, percentuale inarrivabile per qualsiasi partito in questa fase) non ha solo “asfaltato” Grillo e Berlusconi ma addirittura tutti i suoi partner di governo (Ncd-Udc e Scelta Europea) ormai considerati alla stregua di ancelle del governo Renzi. Se il governo Letta, nato in una fase in cui tutto il PdL sosteneva lo sforzo di governo, si poneva in un’ottica di grande coalizione in cui i capidelegazione erano rispettivamente Letta ed Alfano, tra i grandi meriti di Renzi c’è quello di aver dato vita ad un esecutivo in cui i rapporti di forza (post-scissione Ncd) sono stati seriamente rivisti. Meno ministri Ncd e soprattutto Alfano nel “semplice” ruolo di ministro e non di vicepremier. Da notare come Renzi a stento citi e difficilmente si faccia ritrarre coi vari Lupi, Alfano e Lorenzin. Agisce come se il governo fosse il solo governo Renzi.
Cancellando la macchia di un uomo che avrebbe voluto il governo Leopolda, e si ritrova con un esecutivo di coalizione. Un approccio, quello che ha portato alla sostituzione di Letta, che non solo ha aiutato il Pd a sconfiggere Grillo (con Letta il M5S si sarebbe piazzato più in alto con Renzi capace solo di bruciarsi a fuoco lento) ma anche a far apparire questo esecutivo come un governo che fa le cose. Il Parlamento di questa XVII legislatura è quel che è. Il governo è uno strano mix. Ma a seconda delle leadership politiche può cambiare il senso, e il verso, dell’azione di governo. La politica dunque come qualcosa che può avere senso, e non semplice schiava dell’onnipotente burocrazia italica. Forse è anche questo il grande insegnamento che ci lascia un risultato elettorale difficilmente eguagliabile da chiunque.