Perché crollano le borse?
Dopo il “black Wednesday” le borse europee in mattinata e nel primo pomeriggio di oggi hanno tentato il rimbalzo. Tutte positive quelle europee mentre i listini Usa e asiatici fotografano ancora oggi una situazione di costante incertezza sui mercati finanziari. Alle 15 e 45, sulla scia delle parole del Presidente della Banca Centrale Europea Mario Draghi, Piazza Affari ha recuperato il 2,9% rispetto al -4,8% di ieri mentre sono più deboli le altre capitali europee: Parigi fa +1,8%, Londra +1,3% e Francoforte +1,5%. Qualche buona notizia arriva anche sul fronte bancario: Monte dei Paschi di Siena che ieri aveva perso il 22%, oggi rimbalza fino a quota 0,71 € per azione (congelata al rialzo a +41% come Unicredit) tornando così al valore di due giorni fa.
Ma perché stiamo assistendo a questo continuo sell off, ossia ad un’ondata di vendite che porta al crollo delle borse?
Petrolio. Negli ultimi giorno il prezzo del greggio è sceso sotto i 30 dollari al barile toccando stamani il minimo di 26,19 dollari (Wti) da dodici anni a questa parte. L’abbattimento costante del prezzo del petrolio – nel luglio 2014 un barile costava più di 100 dollari – è dovuto ad un aumento dell’offerta combinato con una diminuzione della domanda. Dal lato dell’offerta pesano due fattori: la fine delle sanzioni contro l’Iran che potrà così ricominciare ad esportare quanto petrolio vuole e il cosiddetto “boom” del petrolio di scisto negli Stati Uniti – ossia quel petrolio prodotto dai frammenti di rocce di scisto bituminoso. Dal lato della domanda, invece, il rallentamento della Cina e di molte altre economie in via di sviluppo ha causato una riduzione dei consumi. Nonostante l’abbattimento del prezzo del petrolio, c’è poco da esultare: come avrete notato infatti in Italia il prezzo di benzina e gasolio (1,40 € al litro in media) è rimasto pressoché identico a quello di un anno fa quando il Wti e il Brent oscillavano intorno ai 60 dollari al barile. E perché? Molto semplice: di quell’euro e 40 centesimi, solo 0,4 € rappresentano il prezzo netto mentre l’euro restante è costituito da accise (0,7 €) e Iva (0,3 €), ossia tasse.
Cina. Ieri il governo cinese ha confermato i dati sulla crescita del Pil nel 2015: +6,9%. A noi italiani sembra una cifra spropositata dato che nel 2015 siamo cresciuti di un misero 0,8%, ma per la seconda economia più grande del mondo questo è il tasso di crescita più basso degli ultimi 25 anni. L’incertezza sui mercati era stata già rilevata lo scorso agosto quando il governo cinese di Xi Jinping aveva deciso di svalutare lo yuan. Ora solo l’analisi dei vari trimestri del 2016 ci dirà se il rallentamento della crescita sarà costante ma indolore o repentino e foriero di cattive notizie per l’economia mondiale.
Economia globale. Non solo Cina. Lo stato malconcio dell’economia riguarda molti altri paesi – vedi Russia – tanto che ieri il direttore del Fondo Monetario Internazionale Christine Lagarde ha parlato di “nuovi rischi all’orizzonte maggiori del previsto”. A Davos, dove ogni anno si riunisce il gotha dell’economia e della finanza internazionale in occasione del World Economic Forum, qualcuno paventa già una nuova crisi internazionale simile a quella del 2008
Italia, il caso banche. In questi giorni di isteria collettiva Piazza Affari va considerata come un caso a sé. Infatti oltre ai fattori esogeni di cui sopra, i listini italiani risentono anche di un fattore endogeno molto pesante: la debacle dei titoli bancari. E come si spiega questo fenomeno? In due modi.
1. Il numero eccessivo dei non performing loans – in italiano crediti deteriorati – ossia quei crediti bancari di cui la riscossione è incerta sia in termini di scadenza che di ammontare dell’esposizione. Ergo: non si è sicuri se questi crediti verranno restituiti e in che tempi. Così le banche, per coprire questi eventuali pagamenti mancati, devono mettere da parte un po’ del proprio capitale. In Italia i non performing loans rappresentano il 17% dei crediti totali, una percentuale molto più alta rispetto ad altri paesi europei come Spagna (7%), Francia (4%) e Germania (3%). Va detto però che la maggior parte dei paesi europei, contrariamente all’Italia, ha potuto usufruire di risorse pubbliche per salvare i propri istituti di credito mentre il governo italiano non lo ha potuto fare a causa del proprio debito pubblico esorbitante (intorno al 130%). Ora è in atto una trattativa tra Roma e Bruxelles per l’istituzione di una “bad bank leggera” – come l’ha definita il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan – su cui scaricare tutte le sofferenze del sistema bancario italiano, che valgono circa 200 miliardi. Ma se la nuova bad bank potesse contare su una garanzia statale, questo potrebbe aver ricadute sui contribuenti (a causa dell’aumento del prezzo dei crediti deteriorati) e soprattutto l’Italia rischierebbe di violare la norma europea sul bail-in che vieta l’impiego di risorse pubbliche per salvare le banche.
2. L’altra causa del crollo dei titoli bancari è il clima di incertezza e preoccupazione tra i cittadini che hanno un conto corrente in banca dopo il salvataggio dei 4 istituti di credito – CariFerrara, Banca Marche, Popolare dell’Etruria e CariChieti– che ha polverizzato i risparmi di 112mila azionisti subordinati. Stamani il Fatto Quotidiano ha stimato che in pochi giorni i correntisti abbiano portato via dai depositi di Mps circa 1 miliardo di euro (nessuna smentita dai vertici della banca).
Ma cosa rischiano da vero i correntisti? Per ora niente, soprattutto per i conti correnti fino a 100.000 € che sono garantiti. Caso diverso per azionisti e obbligazionisti che, ça va sans dire, hanno investito su prodotti più rischiosi. Comunque, al netto di speculazioni e complotti immaginati da qualche giornale, il governo da mesi continua a ripetere che il sistema bancario italiano è “tra i più solidi al mondo” come ha ribadito stamani il Presidente del Consiglio Matteo Renzi in un’intervista al Sole 24 Ore.
Giacomo Salvini
Twitter @salvini_giacomo