Elezioni USA: Bernie Sanders, l’antieroe che fa sognare l’America liberal
Nel 1906 il sociologo tedesco Werner Sombart dava alle stampe un saggio dal titolo particolarmente significativo: “Perché negli Stati Uniti non c’è il socialismo?”. A dire il vero è una domanda che, dopo oltre un secolo dalla pubblicazione del suddetto volume, in pochi ormai si pongono, vista la secolare solidità dell’assetto bipartitico statunitense. Eppure, l’irrompere sulla scena politica di un “orgoglioso socialista” non può che indurre a rispolverare il quesito che Sombart si poneva.
Bernie Sanders, 74 anni, senatore del Vermont. È lui il candidato che sta sbaragliando le carte di un Partito Democratico (americano) che era già proiettato verso le elezioni generali di novembre, e che considerava le primarie come una mera formalità per Hillary Clinton, da sempre considerata superfavorita, soprattutto dopo l’annuncio ufficiale della non candidatura da parte del vicepresidente uscente Joe Biden. Certo, Hillary rimane ancora l’indiscussa frontrunner delle primarie democratiche, ma la sua strada oggi non appare più così in discesa. A frapporsi fra lei e la nomination c’è proprio il senatore Sanders, un personaggio del tutto sui generis che nelle ultime settimane sta incrementando notevolmente i suoi consensi. In un modo o nell’altro, a prescindere da quali saranno i risultati, Sanders avrà lasciato il segno su queste primarie; con la sua candidatura, infatti è riuscito già a conseguire il suo primo obiettivo: spostare a sinistra il baricentro dell’agenda politica democrat.
Elezioni USA: il profilo di Bernie Sanders
Pacifista e antimilitarista, Sanders ha sempre votato contro gli interventi americani in Medio Oriente nonché contro l’aumento delle spese militari. Il suo programma prevede un sostanziale aumento delle imposte per i più ricchi, i cui proventi andrebbero a finanziare le università statali, che negli Stati Uniti sono comunque molto onerose. D’altra parte, Sanders ha sempre attribuito gran parte delle responsabilità della crisi finanziaria a Wall Street, e adesso ritiene sia arrivato il momento di fare i conti. Difensore del welfare state da tempo immemore, professa la necessità di forme di assistenzialismo alle classi più deboli, facendo della sanità pubblica e gratuita un baluardo delle sue battaglie. Si è inoltre battuto per la difesa dell’ambiente, appoggiando le scelte politiche di Obama tese a frenare l’inquinamento e il surriscaldamento globale, quali ad esempio la Carbon Tax o il no all’ampliamento dell’oleodotto Keystone XL. È ovviamente pro-aborto e a favore dei matrimoni omosessuali.
Insomma, un vero e proprio liberal, come emerge anche dallo spirito della campagna elettorale che sta portando avanti. Non ha (e non vuole) il supporto economico di lobbies e grandi organizzazioni, agendo in netta controtendenza con la consuetudine ossessiva dei finanziamenti milionari di cui i candidati americani alla Casa Bianca vanno alla ricerca per sostenere le costose macchine organizzative. Sanders riceve contributi perlopiù da associazioni sindacali e di categoria (macchinisti, operai metalmeccanici, ma anche insegnanti, infermiere e lavoratori del pubblico impiego) oltre ad un efficace fundraising tra la gente comune, che gli ha garantito – almeno per ora – un adeguato sostegno finanziario di base per poter proseguire la campagna elettorale.
Anche dal punto di vista comunicativo, ha instaurato un approccio autentico e disintermediato con gli elettori, una scelta che sembra dare i suoi frutti. Nelle sue pagine social, si rivolge ai sostenitori nel modo più diretto possibile, con dichiarazioni semplici e immediate in cui evidenzia criticità e propone soluzioni. È interessante notare la ricorrenza, sulla pagina facebook del senatore Sanders, di riferimenti alle parole di Papa Francesco, soprattutto per quel che riguarda le tematiche ambientali e socio-economiche. Con la stessa schiettezza si rivolge ai sempre più numerosi fan che affollano le sue conferenze. A loro non promette utopie (non è certo un professionista di storytelling) ma proposte concrete, corroborate da una lunga esperienza nelle istituzioni, dove non ha mai fatto mancare la sua voce critica, un punto di forza non indifferente che gli consente di presentarsi come una figura estranea all’élite che da Washington tesse le trame del paese, nonostante – tra Camera e Senato – di quella stessa élite faccia parte da più di un quarto di secolo.
È proprio tra l’elettorato più deluso e realista che fa breccia il 74enne senatore del Vermont, un antieroe che non ama le passerelle e che “non bacia i bambini” (come ha scritto tempo fa il New York Times a proposito del suo scarso appeal mediatico).
Insomma, Sanders è del tutto privo di quella retorica – talvolta esagerata – che contraddistingue ogni candidato alla Casa Bianca nei suoi rapporti con gli elettori, un’assenza di solennità che potrebbe costargli caro in termini di consenso . Ma “Bernie il socialista” non ne vuol sapere di vendere il sogno americano, preferendo invece concentrarsi sulle difficoltà concrete, facendo nomi e cognomi dei responsabili della crisi e puntando a quel 99% di invisibili che qualche anno fa animarono le proteste di piazza contro le disuguaglianze economiche, dando vita a un movimento sociale – Occupy Wall Street – che ovviamente oggi è schierato senza esitazioni con Sanders.
La domanda ricorrente, però, è sempre la stessa: Bernie Sanders avrebbe qualche chance concreta di diventare Presidente? Paradossalmente, i sondaggi dicono di sì. Sul fronte opposto, quello repubblicano, il candidato sarà molto probabilmente un esponente dell’ala conservatrice del partito. Ebbene, secondo alcune rilevazioni, in un ipotetico scontro con uno qualsiasi dei candidati repubblicani (Donald Trump, Ted Cruz e Marco Rubio i più accreditati) sarebbe proprio Sanders a vincere, contando su un consenso ancora più ampio della Clinton, detestata dall’elettorato GOP.
Si tratta ovviamente di scenari soggetti a variazioni di ogni sorta, vista la tendenziale duttilità dei flussi elettorali americani, ma sufficientemente allarmanti da spingere la Clinton a riconsiderare le sue strategie d’azione, nonché alcune sue posizioni: dai finanziamenti in politica alla tassazione per i miliardari, passando per i temi etici. Anche la Clinton appare oggi più liberal che in passato.
E probabilmente c’è anche l’inaspettato successo di Sanders ad aver spinto Michael Bloomberg, ex sindaco di New York e miliardario fra i più facoltosi al mondo, a valutare la possibilità di una candidatura da indipendente, approfittando di una eventuale polarizzazione che deriverebbe da uno scontro Sanders vs Trump (o Sanders vs Cruz). La sfida tra due candidati considerati “estremisti” permetterebbe a Bloomberg di erodere il consenso sia dei Democratici che dei Repubblicani, sfilando da entrambi i partiti la considerevole quota di elettori moderati.
Mancano pochi giorni, in ogni caso, per poter verificare concretamente il peso reale della candidatura Sanders. Come di consueto, sarà lo stato dell’Iowa ad inaugurare – sia per i democratici che per i repubblicani – la stagione delle primarie il 1 febbraio. Qui gli ultimi sondaggi attestano Clinton e Sanders praticamente alla pari, mentre il terzo incomodo Martin O’Malley (ex governatore del Maryland) arriverebbe intorno al 3%.
Il 9 febbraio sarà la volta del New Hampshire, dove Sanders è dato in vantaggio ormai da settimane, toccando addirittura i 15 punti di distacco sulla Clinton. Quest’ultima rimane tuttavia nettamente in testa per la nomina presidenziale, vantando un 52% apparentemente rassicurante a fronte del 38% totalizzato dal senatore del Vermont.
Il quadro, comunque, potrebbe cambiare già a partire dall’esito del voto in Iowa, dove nel 2008 la favoritissima Hillary Clinton fu sconfitta da un outsider sul quale in pochi avevano scommesso, tale Barack Obama. Certo, il contesto e i rapporti di forza sono completamente differenti.
L’establishment democratico è tutto al fianco di Hillary, mentre Sanders può contare perlopiù su pochi esponenti dell’ala radicale del partito, oltre all’appoggio di tanti nomi noti: Mia Farrow, Daniel Craig, Danny DeVito, Roger Waters, David Crosby, Art Garfunkel, Bill Frisell, Ronda Rousey e altre centinaia di personalità del mondo della musica, del cinema, dello spettacolo e dello sport che hanno già manifestato il loro endorsement a favore di Sanders.
A prescindere da come andrà a finire, molti osservatori concordano nell’affermare che Sanders ha già vinto una battaglia: farsi legittimare (e, in parte, temere) all’interno di un contesto politico dove il termine “socialismo” invoca ancora richiami sovietici e gli strascichi del maccartismo non sono stati del tutto cancellati. Sanders è riuscito a destabilizzare tutti, a partire proprio dai “compagni” di partito, soprattutto se si tiene in considerazione che egli è in realtà un indipendente affiliato ai Democratici. Dunque, un socialista all’assalto della Casa Bianca. E chissà se dopo centodieci anni le tesi di Sombart non si possano arricchire di un nuovo avvincente caso di studio.
Antonio Folchetti