Dove gli stipendi medi stanno aumentando di più? Tutti i dati ISTAT
Dove gli stipendi medi stanno aumentando di più? Tutti i dati ISTAT
Sappiamo che negli ultimi anni l’Italia non ha mai applicato i drastici tagli ai salari pubblici applicati per esempio in Spagna e Grecia in seguito alla crisi. E anche quelli privati non erano crollati, preferendosi come sempre sacrificare gli stipendi dei neo-assunti, o semplicemente licenziando. Infatti il tasso di occupazione è calato nonostante la riforma delle pensioni che trattiene i lavoratori dal ritirarsi e nonostante il nostro fosse già inferiore alla media europea.
Stipendi medi, solo quelli statali non crescono
Negli ultimi tempi, anche probabilmente per l’introduzione del Jobs Act il ritmo di aumento dei salari si era man mano assottigliato, e del resto con inflazione zero e crescita così asfittica del reddito, non poteva essere altrimenti.
Tuttavia negli ultimi mesi vi è stata una ripresa, benchè ovviamente parliamo di decimali, dal 1% al 1,3%
E’ stata uniforme?
Pare proprio di no. Di fatto è stato il settore agricolo e in misura minore quello industriale ad avere trainato gli stipendi.
Si nota in modo molto evidente lo 0 del settore pubblico, che ancora subisce il blocco introdotto all’inizio della grande crisi economica. Vi è naturalmente molta discussione in merito, i sindacati fremono perchè questo blocco sia levato, il governo ha concesso gli 80€, giudicati poco più di una mancia dalle rappresentanti dei lavoratori che lamentano la perdita di potere d’acquisto dal 2010 ad oggi.
L’ARAN, Agenzia per la rappresentanza negoziale della pubblica amministrazione, afferma che la perdita per gli statali dal 2010 è stata solo dell’1% reale, mentre nei 10 anni precedenti l’aumento era stato del 40%.
In effetti vediamo proprio dai grafici Aran che dal 2010 l’aumento delle retribuzioni del settore statale si è bloccato ed è stato inferiore a quello del settore manifatturiero privato, anche se non a quello del settore dei beni vendibili, più sottoposti alla pressione della concorrenza.
E tuttavia gli anni precedenti si era verificato un grosso divario che aveva visto favorito il settore statale.
Divario che toccava anche il 35% e non scendeva sotto il 20% se torniamo indietro negli anni dal 1980 al 2006.
Insomma c’è una parziale azione di riequilibrio, di fatto.
Stipendi medi, i più grandi aumenti nel settore energetico, elettrico, tessile
Nel 2015 i settori in cui si è verificato l’aumento maggiore degli stipendi medi sono stati quelli delle estrazioni minerali, con un +4,2%, dell’energia e petroli, +4,4%, dell’energia elettrica e gas, +3,9%, tessile e chimico.
Della manifattura insomma. Dove in effetti vi è stata anche la riduzione maggiore di occupazione, come se questi settori abbiano attuato una selezione di lavoratori, privilegiando quelli più specializzati, da pagare sempre di più, sacrificando quelli a basso costo e low skilled.
E’ però più corretto osservare cosa è accaduto dal 2010 in realtà. Da allora l’inflazione secondo gli ultimi dati è cresciuta del 7%, di fatto con un aumento del 6,5% i lavoratori hanno perso qualcosa in termini reali, anche se ovviamente in modo non paragonabile ai tanti che hanno perso il lavoro stesso.
E tuttavia anche in questo caso come quasi tutto in economia non c’è uniformità.
Il settore energetico, chimico, estrattivo sale del 13%, con un guadagno medio del 6%, appena di più di quello della gomma e della plastica.
A parte il settore pubblico quelli privati in cui gli aumenti non tengono il passo dell’inflazione, invece, sono quello dell’informazione, del credito, degli altri servizi non ben identificabili.
Si tratta di aree che hanno subito meno perdite dell’occupazione, dove si concentrano spesso nuove industrie più soggette a intensa concorrenza, con ricambio più frequente del personale ed inserimento di giovani lavoratori, che hanno stipendi di ingresso certamente minori di coloro che sostituiscono.
Attenzione, questi dati riguardavano quel 60% di lavoratori dipendenti che hanno un contratto collettivo, non sono inclusi quindi gran parte dei lavoratori, di fatto i più precari, e soprattutto le tante partite IVA e gli autonomi che negli ultimi anni hanno subito prima una moria nei numeri e nelle retribuzioni, essendo stati colpiti dalla crisi in modo più che proporzionale.
ISTAT dà uno sguardo anche al futuro, e si intravede un fenomeno di cui avevamo già parlato, la diminuzione del costo del lavoro a causa del Job Act, infatti si prevede che l’aumento delle retribuzioni abbia una brusca frenata nel 2016, fino a raggiungere lo 0,6% di aumento. Questo sarà dovuto a due fattori:
– l’aumento, auspicabile, degli assunti, che immetteranno in gran numero nella media dei salari valori decisamente più bassi, essendo gli stipendi di ingresso quelli che sono più calati.
– il rinnovo di molti contratti del settore privato, in particolare nell’industria, dove quasi il 70% vedrà nel corso dell’anno un rinnovo, molto probabilmente al ribasso. Nei servizi questa quota è del 40%.
Il risultato è un’inversione della situazione attuale: saranno i salari nei servizi a salire di più del 1,1%, contro un mero +0,4% in quello dell’industria.
Nell’obbligato trade-off tra occupazione e salari, per cui se si vuole maggiori livelli occupazionali si deve accettare nel breve periodo, quando la torta dell’economia non aumenta, una riduzione o una stagnazione dei salari, forse è preferibile cominci a imporsi questo modello che privilegia, a conti fatti, l’occupazione.