Dopo gli attacchi a Roberto Benigni Andrea Scanzi dalle pagine del Fatto Quotidiano, prendendo di mira l’assenza di una vera satira in Italia, ha attaccato nei giorni scorsi Daniele Luttazzi. La domanda da cui parte Andrea Scanzi è semplice: “Che fine ha fatto la satira in tivù?” La risposta che dà alla risposta è molto diretta: “E’ scomparsa, tranne Maurizio Crozza e poco altro. Pochissimo altro. E’ una scomparsa pesante, perché la satira – se ispirata e ben fatta – aiuta a tenere alta l’asticella dell’indignazione. Permette di restare vigili. Induce a porsi domande e ti porta a non accettare supinamente tutto quel che decide (cioè impone) il Potere”. Tra gli esempi citati da Scanzi oltre a Benigni e Grillo c’è anche il caso di Daniele Luttazzi. Parla di “una situazione anomala e scivolosissima, che ha visto negli anni smarrirsi lo stesso Luttazzi, tornato in tivù con il monologo strepitoso aRaiperunanotte (25 marzo 2010) e poi inciampato nella querelle plagio e in un ostinato mutismo rancoroso che fa male tanto a lui quanto a noi”.
La conclusione tracciata nell’articolo pubblicato sul Fatto il 30 Gennaio parla di “gigantesco vuoto. Una iattura autentica, perché servirebbero come il pane voci ispirate e urticanti a più livelli, dalla satira politica allo sberleffo feroce (per esempio) contro tutti questi teo-con sulle barricate per le unioni civili. Luttazzi ripete da anni che “la satira è un punto di vista e un po’ di memoria”. Ecco: qua di punti di vista ce ne son sempre meno, e la memoria è sempre più sbiadita. La situazione ideale per una “dittatura garbata”, gentile nei modi e spietata negli intenti”.
Daniele Luttazzi replica ad Andrea Scanzi
Daniele Luttazzi replica ad Andrea Scanzi che definisce il “Mogol dei coccodrilli” e partendo dai ricordi di una lunga e reciproca conoscenza (una volta erano amici). Ecco il rimprovero di Luttazzi: “un difetto di Andrea che, purtroppo, col tempo è peggiorato: il kitsch sentimentale”. Dopo alcune precisazioni Daniele Luttazzi scrive:
“Non mi sono mai smarrito in vita mia, caro Andrea, e sono alquanto prodigo di ciarle, per un muto ostinato e rancoroso. Ho continuato a fare satira, politicamente: come ho spiegato in tutte le interviste possibili, ho deciso di non fare teatro finché non potrò tornare in tv. La censura, eseguita nell’ombra, va portata alla luce: è il senso politico della mia assenza dalle scene, che nessun giornalista ha ancora raccontato. Nel frattempo ho scritto due bei libroni satirici. Li hai letti?”. “Oh, certo, ricevo proposte per nuovi programmi tv ogni anno, ma tutto si incaglia sempre su scogli di natura legale: le tv vogliono poter tagliare il materiale che non condividono, poiché temono le cause giudiziarie, anche se le mie vittorie giudiziarie dimostrano ampiamente che non sono un irresponsabile. Io tengo il punto: la satira o è libera, o non è. Raiperunanotte fu uno squarcio nella censura: riuscì grazie alla determinazione di Michele Santoro, ma la stampa italiana minimizzò il più possibile il risultato del mio monologo, trattandolo alla stregua degli altri interventi. Quei 15 minuti di monologo non solo raddoppiarono lo share del programma, ma crearono alcuni record in Rete, compresi le 800mila visualizzazioni in un giorno su YouTube e i 5700 tweet/ora su Twitter. Nessuno ne parlò. Per capire l’anomalia del trattamento: quando Corrado Guzzanti, con Aniene, totalizzò su YouTube 600mila visualizzazioni in una settimana, Repubblica dedicò due pagine al suo successo (meritatissimo). Non commettere anche tu l’errore di confondere la realtà vera con la realtà creata dai media. E’ il caso della querelle plagio. Dopo quel monologo che denunciava l’inciucio bipartisan, alla minimizzazione seguì una campagna stampa diffamatoria che strumentalizzava falsità diffuse in Rete da anonimi incompetenti. Non c’era alcun plagio, né i comici stranieri gentilmente informati dai diffamatori mi hanno fatto causa. L’orda considerava plagio, fra l’altro, la mia battuta su Giuliano Ferrara, che fu il pretesto con cui Campo Dall’Orto chiuse Decameron; ma una sentenza del 2012 afferma che non era affatto plagio: mi hanno risarcito con un milione di euro. Parlare ancora, dopo sei anni, di generica querelle plagi, è un modo per continuare la gogna a mezzo stampa, parandosi il culo. Continua pure. Se però vuoi approfondire davvero la materia, nelle mie interviste sul Fatto trovi tutti i riferimenti utili. Scoprirai, fra l’altro, che uno dei responsabili di quel killeraggio ha confessato la mascalzonata (nascosero la parte rilevante della vicenda per darmi del disonesto) e mi ha chiesto perdono. Che bella storia, eh? Puro kitsch sentimentale. Buon appetito”.
Controreplica di Andrea Scanzi
La controreplica di Andrea Scanzi è durissima. Parla del caso di plagio che ha investito anni fa Luttazzi ma soprattutto ha da ridire sul comportamento tenuto negli ultimi anni. Il tutto può essere sintetizzato da una frase che non lascia scampo ad equivoci: “Per una sorta di contrappasso brutale, Luttazzi pare diventato come il Berlusconi di Montanelli, così bravo nell’esser bugiardo da credere ormai alle proprie bugie”.
Daniele Luttazzi: meglio astenersi
Luttazzi non gradisce la controreplica di Andrea Scanzi a cui, dal suo blog, risponde per le rime: “Quando non si hanno i mezzi culturali per rispondere a proposito (tecnica, logica, informazioni eccetera), la via più prudente, specie per un giornalista, sarebbe quella di astenersi dal farlo, in attesa di completare lo studio; ma la prudenza è una virtù cardinale di cui non tutti i mortali partecipano, e così accade che il giornalista, pressato da urgenze frivole, decida di prendere qualche scorciatoia. La più comune consiste nell’attaccare non quello che l’interlocutore ha detto, ma la sua persona, magari definendola rancorosa e permalosa”.