Per comprendere il grado di rilevanza che hanno assunto le elezioni europee appena trascorse, basterebbe dare un’occhiata alle reazioni dei mercati all’indomani degli esiti elettorali: Piazza Affari in rialzo, spread in calo, crescente fiducia degli investitori. Ne consegue che la propensione alla stabilità emersa dalle urne italiane dovrebbe necessariamente condizionare le imminenti scelte economiche di un’Europa che, nel bene e nel male, sentiamo oggi più che mai vicina.
La vittoria schiacciante di Renzi consentirà al Pd di portare a Strasburgo ben trentuno europarlamentari, un folto gruppo di rappresentanti che probabilmente avrà molta più voce in capitolo rispetto agli anni precedenti. In attesa di sapere chi andrà a rappresentarci in Commissione Europea (si parla insistentemente di Massimo D’Alema), il Belpaese può in ogni caso contare su un’altra figura autorevole tra le élites delle istituzioni comunitarie: Mario Draghi, governatore della Banca Centrale Europea. Proprio oggi, Draghi ha dichiarato al Sole 24 Ore che venerdì verrà presentato un documento congiunto tra Bce e Banca d’Inghilterra (che nelle scelte economico-finanziarie continua a tenersi ben lontana dal cedere pezzi di autonomia all’Ue) mirante a rimettere in piedi le PMI, che – per l’ex governatore di Bankitalia – “ci stanno molto a cuore perché contribuiscono per l’80% all’occupazione nell’area dell’euro”.
Se è vero che quella dei piccoli e medi imprenditori è una delle categorie sociali su cui la crisi si è scagliata con maggiore veemenza (basta pensare all’ondata di suicidi che continuano purtroppo a trascinarsi da anni) è vero anche che, soprattutto in Italia, detiene amplissime potenzialità di crescita, potenzialità che per emergere dovranno però essere necessariamente supportate da adeguate politiche di sviluppo e di tutela (nonché di politiche fiscali) da parte della Comunità Europea. Per questo, Draghi punta a favorire una progressiva integrazione dei giovani nel mondo del lavoro, riconoscendo che le misure di flessibilità nel mercato del lavoro introdotte da alcuni paesi dell’Eurozona hanno fatto sì che proprio i giovani fossero i primi a subire i licenziamenti.
L’elezione di una consistente quota di rappresentanti di area euroscettica, unita alla crescita del gruppo GUE/NGL (sinistra radicale) e del Partito Socialista, mette ora in seria difficoltà il Partito Popolare Europeo, che rimane l’eurogruppo numericamente più forte, ma che difficilmente potrà agire secondo la logica germanocentrica che ha caratterizzato la sua azione politica negli ultimi anni. Lo stesso Martin Schulz, candidato alla presidenza della Commissione per il Pse, ha teso la mano al rivale del Ppe Jean-Claude Junker ai fini di un cammino comune, sull’esempio delle grandi coalizioni al governo oggi in Italia e in Germania. Proprio questi ultimi paesi potrebbero divenire il fulcro di un nuovo assetto politico dell’Ue, vista anche la dèbacle di Hollande in Francia, indebolito da un successo del Front National che preoccupa gli europeisti, oggi più che mai “costretti” ad una convivenza comune che metta in secondo piano tutte quelle divergenze – più o meno ideologiche – che finora hanno impedito la costruzione di quel progetto di integrazione europea tanto auspicata dai “padri fondatori”.