Giulio Regeni, il depistaggio della polizia egiziana

caso regeni

Torture e percosse: l’ipotesi di incidente stradale è mero depistaggio

Come se gli indicibili segni di torture e percosse sul corpo di Giulio non potessero parlare da soli. E’ stato ritrovato il 3 febbraio il corpo del ventottenne friulano, in un fosso sulla strada che collega il Cairo ad Alessandria, si dice grazie ad una soffiata anonima. Un luogo periferico che di certo il giovane non avrebbe mai raggiunto da solo, molto lontano dal suo appartamento nella zona benestante di El Dokki.  Nel quartiere residenziale Giulio alloggiava in affitto al terzo piano di una tranquilla palazzina in centro, dove ogni sera il dottorando comprava “pepsi e sigarette” come afferma Omar ai giornalisti, uno dei tanti venditori della zona che il ragazzo frequentava abitualmente, senza mai tradire la sua solita marca di sigarette egiziana, le LM.

I pareri contrastanti delle autorità del posto non lasciano spazio a dubbi sul voluto insabbiamento della vicenda da parte della polizia e l’ombra delle tanto temute forze paramilitari incombe sul delitto di non facile risoluzione. La polizia egiziana indica l’incidente stradale come possibile causa del decesso, un’ipotesi menzognera confutata sin dai primi riscontri dell’autopsia sul corpo del giovane.

Nessuna sorpresa per il depistaggio messo in atto dalla polizia egiziana, mentre il presidente Al Sisi promette al governo italiano di essere pronto a collaborare in tutti i modi, in primis restituendo la salma del giovane all’Italia. Palazzo Chigi auspica una collaborazione con l’Egitto, mentre viene annullata la cena con 200 invitati che doveva svolgersi all’ambasciata italiana al Cairo, dove il ministro dello sviluppo economico Federica Guidi si è subito recata all’appartamento di Giulio Regeni una volta diffusa la notizia della morte. Intanto un corpo di sette uomini tra Polizia, Carabinieri e Interpol è partito alla volta della capitale egiziana, per un indagine più accurata e precisa.

Torture e percosse: la sparizione di Giulio Regeni del 25 gennaio

E’ il 25 gennaio 2016, sono passati ben cinque anni dalla rivolta studentesca di Piazza Tahrir contro Mubarak, episodio importante per la storia di un paese in cui il dissenso è stato sempre difficile da esprimere. C’è stata una campagna di arresti preventivi e le manifestazioni sono state vietate; respirando un’aria più tesa del solito Giulio parte dal suo appartamento per dirigersi nel quartiere di Bab Al Louq da amici, mentre la città brulica di militari, più del solito;  le sue tracce si perdono nei pressi della metro, dove viene avvistato per l’ultima volta. Verrà ritrovato solo dieci giorni più tardi in un fosso, sul ciglio della strada.

Giulio era in Egitto per lavorare alla sua tesi di dottorando, esito brillante di una carriera universitaria di successo, con una laurea a Cambridge nelle relazioni internazionali.  Il suo lavoro “sul campo” per la tesi era sconfinato in qualcosa di più, il ricercatore voleva parlare di quell’opposizione difficile che pochi coraggiosi fanno in un paese che “ha cercato di reprimere molte forme di dissenso” (New York Times).

La paura e l’anonimato su Il Manifesto

E proprio per questo la sua ricerca si era fatta più capillare, mettendosi a contatto con alcuni attivisti sindacali sia per la sua tesi, sia per gli articoli che inviava a Il Manifesto, che li pubblicava sotto anonimato su richiesta di Giulio che, a detta di chi lo conosceva, “aveva paura”.  “La seconda vita dei sindacati indipendenti”, questo il titolo dell’articolo pubblicato oggi sul giornale con il nome del ricercatore, un modo per ricordarlo e farlo riconoscere dai lettori:”Al-Sisi ha ottenuto il controllo del parlamento con il più alto numero di poliziotti e militari della storia del paese mentre l’Egitto è in coda a tutta le classifiche mondiali per rispetto della libertà di stampa” scrive Regeni.

Chiara a chi lo conosceva era la passione del giovane Friulano nello studio degli equilibri politici nei paesi del Nord Africa, che gli era valsa un premio prestigioso; dalle pagine della sua tesi di ben quattro anni fa pubblicata sulle prime pagine del Messaggero di oggi si legge di un ragazzo con una caparbia voglia di giustizia e la speranza di “un nuovo patto sociale tra le istituzioni e il popolo che renda il Nord Africa libero da ingerenze esterne e dittature interne” in cui l’Europa dovrebbe avere un ruolo per “correggere tali asimmetrie di forza”.

 

                                                                                                                                                                     Giulia Perbellini