Le elezioni europee rappresentano, ormai da diversi anni, una delle principali occasioni per analizzare i rapporti di forza interni ai partiti in competizione. La possibilità, da parte dell’elettore, di usare le preferenze ci consente di cogliere alcune sfumature importanti che – se esaminate con criterio – possono contribuire ad arricchire ulteriormente un’analisi politica relativa alla consultazione elettorale presa in esame. Qui ci limiteremo a considerare il fenomeno nei suoi aspetti generali, prendendo in considerazione tre variabili (contesto geografico; tipo di partito; differenza di genere) e comparando i dati delle elezioni appena trascorse con le europee del 2009.
Il tasso di utilizzazione del voto di preferenza – o più semplicemente tasso di preferenza (TP) – si calcola rapportando percentualmente il totale delle preferenze ottenute dai candidati di un partito con il totale dei voti di lista totalizzati dal partito stesso. Alle elezioni europee, tuttavia, l’elettore può esprimere più preferenze. Pertanto, allo scopo di affinare ulteriormente il risultato, dovremo moltiplicare il divisore per il numero di preferenze esprimibili (nel nostro caso tre, perché tre erano le preferenze che l’elettore aveva a disposizione).
Nel presente articolo, si è scelto di fare riferimento al solo territorio italiano, escludendo i voti arrivati dall’estero, i quali comunque non avrebbero comportato variazioni significative sul calcolo complessivo. Precisati gli aspetti tecnico-metodologici, possiamo adesso concentrarci sull’analisi pratica, cominciando da una panoramica generale delle ultime elezioni europee.
Come osserviamo nella Tab.1, sono state oltre 12,6 milioni le preferenze assegnate in questa tornata elettorale, con un TP pari al 15,4% sul totale dei voti espressi, un tasso piuttosto esiguo, e che scende di tre punti rispetto alle precedenti europee, quando – contestualmente ad una più ampia partecipazione elettorale – anche i voti di preferenza totali erano stati più numerosi (quasi 16,8 milioni). La distribuzione geografica dei tassi ci dà l’ennesima conferma di quanto il fenomeno-preferenze, seppur ridimensionato rispetto ai decenni precedenti, continua ad essere radicato nel sud, dove è stato più volte messo sotto accusa, a causa della diretta correlazione con episodi di clientelismo e di infiltrazione da parte della criminalità organizzata. Troviamo i più alti TP, infatti, nelle circoscrizioni dell’Italia Insulare e Meridionale, rispettivamente al 26,3 e al 22,7.
Passiamo quindi ad analizzare le realtà legate ai singoli partiti. Si è scelto di prendere in considerazione solo le liste che il politologo Giovanni Sartori definirebbe “rilevanti”, ovvero le liste che hanno ottenuto almeno un seggio.
Come si evince dalla Tab.2, al primo posto per numero di preferenze, tra i partiti considerati, c’è il Nuovo Centrodestra, con un TP pari al 26,6. Il soggetto politico nato per iniziativa del ministro Alfano, non a caso, ha riscosso proprio al sud consensi maggiori, pertanto è evidente una correlazione tra numero di preferenze e radicamento territoriale. Si può dire, anzi, che senza l’organizzazione reticolare delle regioni meridionali difficilmente l’Ncd avrebbe superato la soglia del 4%. Subito dopo troviamo “L’Altra Europa con Tsipras”, con un 23% che appare piuttosto inatteso, se si tiene presente lo scarso utilizzo delle preferenze da parte dell’elettorato della sinistra radicale, sin dai tempi del Pci. Guardando alle performance individuali, notiamo che le candidature “note” (Spinelli, Ovadia, Maltese ecc.) e, in parte, quelle legate ai partiti (Sel e Rifondazione Comunista), hanno contribuito notevolmente ad assestare il TP della lista ad otto punti sopra la media. Conseguono un TP di poco superiore al 16% la Lega Nord e Forza Italia. Potremmo definire il Carroccio come una formazione per certi versi ancora riconducibile al “partito di massa”, dotato di una struttura organizzativa fatta di sezioni, federazioni, reti amicali e con una connotazione ideologica ben definita. Pertanto, il partito può contare su un elettorato di base fedele e disposto a votare Lega a prescindere dalle candidature individuali, che tuttavia – come dimostra il +7,1 rispetto alle precedenti europee – hanno riscosso ampio successo, a partire dal segretario Matteo Salvini (386mila preferenze in tutto il territorio nazionale). Quanto a Forza Italia, si verifica un decremento del TP di quattro punti rispetto al 2009 (dato però riferito al Pdl), quando ben 2,7 milioni di elettori scrissero “Berlusconi” – l’ex cavaliere era capolista in tutti e cinque i collegi – sulla loro scheda. Le buone affermazioni personali di esponenti di spicco di Fi come Toti, Comi, Tajani e Fitto non sono bastate per far lievitare il consenso di un partito che, privo dell’impegno attivo del suo leader e ispiratore, si trova ad affrontare oggi una delle sue fasi più critiche. Di poco sopra la media il Partito Democratico, che perde tre punti rispetto alle scorse elezioni europee. Sin dalle prime ore, è risultato pacifico che il successo complessivo del Pd fosse da attribuire in larga parte ad un giudizio popolare favorevole nei confronti dell’azione politica (e delle doti comunicative) di Matteo Renzi. È ipotizzabile, dunque, che gran parte dell’elettorato abbia scelto di attribuire la propria intenzione di voto sulla base di una valutazione complessiva nei confronti di Renzi e del suo governo, riponendo in secondo piano la possibilità di esprimere preferenze. Il Pd, tuttavia, può vantare ben quattordici eletti che riportano preferenze a sei cifre, anch’essi prevalentemente concentrati nel centro-sud. Come previsto, all’ultimo posto nella graduatoria il Movimento Cinque Stelle, che riporta un TP di poco superiore al 9%. L’assenza di nomi conosciuti e di una struttura gerarchica piramidale è alla base di un utilizzo del voto di preferenza così limitato; l’elettore medio del M5S, inoltre, dimostra un interesse piuttosto scarso nei confronti delle singole candidature individuali, prediligendo un’ottica più collegiale.
Focalizziamo infine la nostra attenzione, con la Tab.3, su un aspetto che si fa sempre più centrale nella legislazione elettorale italiana: il coinvolgimento delle donne in politica. A differenza delle consultazioni precedenti, in queste elezioni – e, in modo non molto dissimile, nelle comunali – la legge prevede l’obbligo, nel caso di tripla preferenza, di alternare il genere dei candidati prescelti (almeno una donna, almeno un uomo) al fine di ampliare la componente femminile delle istituzioni elettive. Ma l’introduzione coatta di delle quote rosa si è effettivamente rivelata utile? Da un primo bilancio, pare proprio di sì. Sulle 12.637.537 preferenze complessivamente attribuite a livello nazionale, oltre 4,8 milioni sono andate ad esponenti del gentil sesso, con una percentuale pari al 38,67%, più del doppio delle precedenti europee. Se scorporato nei diversi territori, il dato appare comunque piuttosto omogeneo, con una lieve flessione nella circoscrizione meridionale, in cui soltanto un voto su tre è stato attribuito ad una donna. Senza dubbio, quest’ampia affermazione del voto di genere ha subìto un effetto-traino grazie alla visibilità di cui alcune candidature femminili hanno goduto, a partire dalle cinque candidate capolista del Pd, tutte elette con oltre centomila preferenze. In queste elezioni inoltre, a dimostrazione dell’efficacia – quantomeno formale – di questi strumenti “forzosi”, vi è il dato relativo al numero di donne elette: su 73 eurodeputati eletti, infatti, ben 29 sono donne; erano solo 10 cinque anni fa. Il dato – è bene precisarlo – si riferisce ai candidati immediatamente proclamati eletti secondo le graduatorie, senza tener conto di candidature multiple, rinunce, subentri dei primi non eletti, a seguito dei quali il numero di donne elette nel 2009 comunque aumentò di qualche unità.
A questo punto, è lecito chiedersi quanto i risultati appena esaminati influenzeranno le relazioni di potere all’interno dei partiti, e soprattutto a vantaggio di chi. Sarà poi interessante capire se un tale esito elettorale farà sì che, nelle prossime settimane, anche le preferenze – croce e delizia per generazioni di “politici di professione” (come li avrebbe chiamati Max Weber) – verranno “recuperate” nell’ambito dei negoziati per l’Italicum, la fatidica legge elettorale-meteora che ha tenuto banco per una decina di giorni e di cui oggi sembra non ricordarsi più nessuno.
Si ringrazia il dott.Nicola D’Amelio (Direzione centrale dei Servizi Elettorali – Ministero dell’Interno) per le utili indicazioni fornite in riferimento alla trattazione informatica dei dati elettorali.