Primarie Milano, ma la caccia al voto etnico all’estero è normale
Ha destato “scandalo” l’appoggio, o presunto tale, a Sala da parte della comunità cinese, che avrebbe anche allestito banchetti informativi sulle primarie nel proprio quartiere, intorno a via Paolo Sarpi, dove del resto è installata da decenni.
Si sono sprecate battute che hanno sfiorato il razzismo, spesso infantili, come l’utilizzo della sostituzione delle r con la l, sono fioccate bufale, come la foto pubblicata dal M5S Toninelli di cinesi in fila in realtà presa da tutt’altro contesto in un altra stagione.
Alla fine in realtà il voto cinese non è stato neanche determinante, ma un punto è sorto. In una società che muta, in una città che in questi mutamenti è sempre stata in prima fila, è illegittimo, legittimo o addirittura doveroso fare attenzione al voto etnico?
Primarie Milano, se si prendesse esempio dall’Inghilterra?
Il nostro Paese ha sempre stigmatizzato, salvo praticarla ampiamente, la caccia al voto delle lobbies e delle categorie.
Un tempo era una cosa vista come naturale, gli operai votavano PCI, gli agricoltori DC, i proprietari terrieri e i grandi imprenditori PLI o monarchici, i commercianti spesso socialista.
Con l’andar del tempo e con lo spezzarsi di questi legami corporativi è stato sempre più una vergogna mostrare apertamente legami con spezzoni di società.
Peccato che in altri Paesi, soprattutto nel mondo anglosassone, è assolutamente normale fare e subire lobbying, essere lobbista è un mestiere, non quello con la fama migliore magari, ma paragonabile a fare il consulente o l’avvocato. Ricevere un endorsement da un una associazione professionale è un vanto.
La caccia al voto però non si limita ai gruppi di interesse economico. Nelle città e nei Paesi più cosmopoliti non solo non ci si vergogna, ma si caccia apertamente il voto etnico.
Nel Regno Unito è una questione da tempo. Tradizionalmente è la sinistra, il Labour party, e i misura minore i Verdi, che raccolgono il voto delle minoranze, ma i conservatori, lungi dall’accusare gli avversari, cercano anzi di soffiare una fetta dell’elettorato tra l’altro in crescita demografica.
Per le elezioni vi è stata una campagna per convincere in particolare chi era di origine africana o caraibica a registrarsi, vista l’alta astensione in questo segmento di popolazione, con manifesti studiati da agenzie di comunicazione:
E con la partecipazione di musicisti rap, giocatori di calcio, presentatori, per rivolgersi in particolare ai giovani.
Un voto etnico di estrema importanza. Poco prima delle elezioni 2015 la BBC aveva riportato di uno studio che sottolineava che in 168 seggi il voto etnico era determinante per decretare il vincitore, visto il ridotto margine del 2010.
E se nel 2010 il 68% di chi era di origine asiatica votava Labour, ma si tratta anche di un elettorato poco radicato e molto indeciso. Il 15% affermava di votare dando importanza all’appartenenza alla propria etnia e al programma di un partito riguardo essa.
Nel 2015 già il voto etnico si è dimostrato molto cambiato. Gli asiatici hanno votato per il 50% laburista e per il 38% conservatore. Addirittura un vantaggio per i conservatori, tra gli induisti. Maggiore il divario tra i neri, 67% a 21%.
Ed è ampio il dibattito tra i conservatori sull’esigenza di portare più minoranze tra i propri elettori. Il deputato tory Daniel Hannan proprio il giorno delle elezioni scrisse lo scorso anno un articolo sul quotidiano amico Daily Telegraph invocando una maggiore apertura del partito per esempio con primarie aperte che aumentino il numero di dirigenti e deputati conservatori di origine asiatica o africana, per sfatare il mito che vuole gli elettori delle minoranze votare a centrosinistra ovunque.
E due settimane prima del voto di maggio il leader conservatore Cameron presenziò a un grande festival Sikh con tanto di simil-turbante in testa in compagnia della moglie.
Non solo, nelle prossime elezioni di maggio per il comune di Londra si confronteranno un candidato musulmano di origini pakistani, Sadiq Khan, mentre il candidato conservatore è di origine ebraica. Se dovesse vincere il laburista, come molti sondaggi indicano, si tratterebbe del primo sindaco musulmano di una grande metropoli in occidente.
Primarie Milano, in realtà probabilmente il futuro è più vicino al presente americano
Anche negli USA vi è molto dibattito sul voto etnico. Non è un caso se una delle armi principali di Rubio nelle attuali primarie repubblicane è il suo essere ispanico, e l’obiettivo principale, suo e di molti suoi sostenitori nell’establishment del partito, che appoggiano lui e non gli impresentabili Trump e Cuz, è quello di assorbire il voto ispanico finora andato ai democratici, nonostante già 30 anni fa Regan si affannasse ad attirarlo dicendo che gli ispanici sono “repubblicani che ancora non sanno di esserlo”, facendo leva sulla cultura socialmente conservatrice dei più.
E il New York Times dedica editoriali il giorno delle elezioni, come il novembre scorso, al tema del voto degli asiatici, che si è progressivamente allontanato dai repubblicani per premiare invece i democratici votati dal 40% in più degli immigrati dall’Asia.
Inutile sottolineare che in molti luoghi come in California è normale trovare indicazioni sui seggi scritte in una miriade di lingue, soprattutto asiatiche.
Certamente si dirà che i cinesi di Milano non erano cittadini, al contrario degli elettori delle minoranze in Inghilterra e USA. In realtà spesso questo dipende dalle nostre regole più rigide sulla cittadinanza, per cui anche persone nate a Milano o residenti da decenni non risultano cittadini, mentre in USA appunto si ritrovano a votare coloro che non conoscono neppure l’inglese.
In ogni caso il nostro futuro è multietnico, ed è veramente singolare che in un partito di centrosinistra ci sia polemica sul voto delle minoranze quando in altri Paesi al contrario sono i partiti conservatori che si sforzano e si industriano per attirare il voto di chi proviene da altri Paesi.