I risultati finali non tradiscono le aspettative. Bernie Sanders e Donald Trump sono i vincitori delle primarie del New Hampshire, secondo appuntamento elettorale a distanza di una settimana, quando l’Iowa aveva visto l’affermazione netta di Ted Cruz e quella di misura di Hillary Clinton. Stavolta invece sono i due candidati anti-establishment a trionfare con rassicurante margine dagli avversari.
New Hampshire, Repubblicani: è Trump il candidato da battere
Lo scorso 1 febbraio, in Iowa vinceva contro ogni previsione il candidato ultraconservatore Ted Cruz, un risultato che aveva costretto il superbo Donald Trump a rincorrere qualcun altro, forse per la prima volta nella vita. A distanza di una settimana, però, il miliardario newyorkese si prende la rivincita, ottenendo oltre il 35%, ben sopra la media dei sondaggi che gli attribuiva il 31%. Prestazione lusinghiera anche quella di John Kasich, governatore dell’Ohio, che si piazza secondo con il 16% e prende 3 delegati. Segue Ted Cruz, che riesce a recuperare qualche punto e ad agguantare un insperato terzo posto: 11,6% per il senatore texano, poco sopra Jeb Bush (11,1%) e Marco Rubio (10,6%).
L’esito delle urne del New Hampshire riequilibra il quadro a favore di Donald Trump, che vede ulteriormente consolidata la sua posizione. Le rilevazioni sul territorio nazionale attestano la sua candidatura come la più accreditata per la nomination (+8,5 su Cruz, suo principale sfidante, per quanto il vantaggio si sia assottigliato molto nelle ultime settimane) mentre i sondaggi relativi al South Carolina – il prossimo Stato che andrà al voto per le primarie repubblicane, 20 febbraio – gli attribuisce ben 16,3 punti di distanza da Cruz. Il clima di opinione, dunque, consacra Trump come l’assoluto frontrunner dei repubblicani.
Come emerge da alcune indagini, l’elettorato di Trump è quello maggiormente convinto della propria scelta, una fedeltà granitica che potrà giovargli notevolmente nelle prossime settimane, quando la sfida non si giocherà più sul piano locale e la priorità sarà catturare gli indecisi. Si tratta di un elettorato mediamente anziano, di reddito medio-basso e scarsa istruzione, disilluso nei confronti del ceto politico tradizionale, pertanto poco influenzabile dall’indesiderabilità sociale delle bordate provocatorie che “The Donald” tira fuori dal cappello quasi quotidianamente. L’ultima in ordine di tempo è stata l’intenzione di reintrodurre il waterboarding, il tremendo metodo di tortura che consiste nell’infilare la testa dell’interrogato sott’acqua, facendo credergli di stare per essere annegato. Evidentemente, i suoi elettori approvano.
Altro vincitore della serata è indubbiamente John Kasich che, dopo il misero 1,9% dell’Iowa, si rifà con un incoraggiante secondo posto, conseguito grazie alla intensa mobilitazione dei tanti elettori moderati del New Hampshire, che vedono nel governatore dell’Ohio (endorsato anche dal New York Times) il loro punto di riferimento. Tirano un sospiro di sollievo anche il senatore texano Ted Cruz, che riesce ad arrivare terzo dopo una settimana molto complicata, malgrado la vittoria in Iowa, e Jeb Bush, che mantiene la promessa (“In New Hampshire andrà molto meglio”) formulata ai sostenitori all’indomani del deludente 3% dell’Iowa.
Crescono le preoccupazioni invece per Marco Rubio, che dopo la recente ascesa e gli endorsement di alcuni pezzi da novanta del partito (fra i quali anche Rick Santorum, ritiratosi dopo l’Iowa) è entrato, complice una performance disastrosa nell’ultimo dibattito, in una fase discendente che potrebbe ancor più aggravarsi. La storia recente del Partito repubblicano insegna che chi non vince né in Iowa né in New Hampshire non ottiene poi la nomination. Sarà Rubio a sfatare il mito?
Nel frattempo, gli altri candidati minori sono in procinto di alzare bandiera bianca. Ben Carson (2,5% in New Hampshire) ha già dimezzato il suo staff, mentre il governatore del New Jersey Chris Christie (7,5%), nel discorso di ringraziamento agli elettori di qualche ora fa, ha fatto intendere che il ritiro è ormai imminente. Sembra resistere ancora l’unica donna in corsa, Carly Fiorina, che con il 4,2% ha raddoppiato il magro bottino dell’Iowa. Lo sguardo, comunque, è già verso il South Carolina e il Nevada, ultimi due Stati prima del “Supermartedì”, dove ben 14 Stati andranno alle urne.
New Hampshire, Democratici: Sanders il “guastafeste” della Clinton
Il successo di Bernie Sanders in New Hampshire è invece il risultato che tutti attendevano. L’unica curiosità stava nella portata del distacco che il senatore del Vermont avrebbe dato alla sfidante Hillary Clinton. Alla fine, con i risultati di 9 seggi su 10, la vittoria di Sanders è schiacciante: 60% contro 38,4%, una differenza nettamente superiore a quella che i sondaggi recenti avevano riportato. Sanders vince non solo perché favorito dalla vicinanza del New Hampshire al suo Vermont, ma anche grazie alla crescente mobilitazione dei tanti sostenitori, i quali – dopo il pareggio in Iowa – si convincono sempre più della concreta possibilità di giocarsi fino alla fine una partita che soltanto lo scorso dicembre era considerata già chiusa.
E poiché l’opinione pubblica alimenta se stessa, l’utopia dell’impresa inizia a serpeggiare insistentemente tra i liberal, che moltiplicano il loro impegno (materiale ed economico), necessario per un candidato che ha scelto di non farsi sostenere da lobby né di costituire appositi “SuperPAC”, per non snaturare i tratti anticonvenzionali della sua campagna elettorale. Una scelta che premia, vista la costante crescita di libere offerte che si registra dall’inizio dell’anno e che ha conosciuto un picco dopo il risultato in Iowa.
Hillary Clinton accusa il colpo e già indirizza i suoi sforzi in direzione Nevada e South Carolina, dove rispettivamente il 20 e il 27 febbraio potrebbe finalmente invertire la rotta di un viaggio che finora si è presentato inaspettatamente ostico. Probabilmente, la ex first lady dovrà insistere più sui contenuti, dal momento che premere sull’essere donna non si è rivelata certo una strategia vincente, date le infelici uscite di Gloria Steinem e di Madeleine Albright, le quali – nel corso di due iniziative pubbliche pro-Clinton – hanno affermato, in sostanza, che è ingiustificabile per una donna non votare la Clinton. Un effetto-boomerang che ha visto crescere la quota di elettrici pro-Sanders.
Il senatore socialista, intanto, si gode il momento. Sa bene che a partire da adesso la strada per la Casa Bianca sarà tutta in salita, e pertanto cerca di mettere già le mani avanti. “Abbiamo vinto perché rappresentiamo l’energia di cui il Partito Democratico avrà bisogno per vincere a novembre”, queste le sue parole nel discorso tenuto dopo l’ufficializzazione della vittoria in NH. Tradotto dal politichese: “non otterremo la nomination, ma non pensate di poter andare lontano senza di noi”.
Intanto, Michael Bloomberg sonda il terreno e si sfrega le mani. Più lo scontro si polarizza, più aumenterebbero i suoi potenziali elettori. Anche lui, però, è costretto ad aspettare almeno la metà di marzo per capire se quella del socialdemocratico alla conquista della Casa Bianca sarà soltanto una meteora.