D&D – Debito e Draghi
Inizio il commento di oggi dando alcuni numeri relativi a debito pubblico, PIL e altro. L’arco di tempo va dal novembre 2011 (inizio governo Monti) a oggi. Iniziamo.
A novembre 2011 il debito pubblico era di 1.890 miliardi. Dopo 4 anni, novembre 2015, è salito a 2.212 miliardi. Cioè di 320 miliardi, il 17% circa in più.
Il PIL del 2011 (rivalutato dopo le innovazioni nel sistema di calcolo) si attestava a 1638 miliardi. Da allora il PIL reale si è contratto (i primi tre anni di calo e il 2015 finalmente di crescita dello 0,8%) in presenza di una inflazione relativamente bassa. Una previsione a spanne del PIL 2015 (PIl del 2014: 1.614 miliardi, più 0,8% di crescita, più 0,3% di aumento dei prezzi) ci porta ad una cifra di 1.632 miliardi, molto vicina a quella del 2011.
In sintesi dopo 4 anni il PIL italiano resta più o meno uguale in termini monetari, il debito invece cresce di 320 miliardi (dato di novembre 2015).
Tutto ciò ha devastato il rapporto Debito Pubblico/PIL che è schizzato in 4 anni dal 116% al 135% circa (il minimo lo ha toccato, come noto, sotto il governo Prodi con un rapporto attorno al 100% considerando il PIL di allora rivalutato come sopra)
E’ lecito dire che dal 2011 ad oggi ci sia stata una politica di rigore nei nostri conti?
Per quanto nell’aumento di 320 miliardi abbiano giocato uscite straordinarie di vario genere (es. per impegni europei per prestiti e fondi salva stati, variazioni del saldo del conto di tesoreria, pagamento di debiti arretrati), 80 miliardi in più all’anno di debito (80×4=320) rappresentano al lordo il 4% circa di deficit per ciascuno dei 4 anni.
Non è poco, e non lo è ancor più se si considera che solo grazie alle politiche della BCE sotto la Presidenza del prof. Draghi il costo del debito è sceso, malgrado la crescita dello stesso, dal 5,5% del PIL a meno del 4% annuo.
Vediamo meglio questo dato, cioè il costo del debito pubblico, per capire quanto la politica “accomodante della BCE sia stata fondamentale per i conti pubblici italiani e anche per quelli privati dei cittadini.
A fine 2011 (con lo spread dei BTP a 10 anni, rispetto all’analogo Bund tedesco, alle stelle) il costo per fare nuovo debito a lungo termine era superiore al 6%; oggi, pur con lo spread risalito all’1,5%, lo stesso costo è appena dell’1,7%. Ancor più positivo il costo delle nuove emissioni di Titoli di Stato per le varie scadenze è sceso all’1%, un valore mai registrato nel nostro Paese.
In termini assoluti, grazie alle politiche BCE, la spesa per interessi (che ha toccato il massimo nel 2012 con 86,5 miliardi) scenderebbe, per il 2016, a 63,6 miliardi secondo le previsioni più recenti. 23 miliardi in meno rispetto al 2012 nonostante la grande crescita del debito. Se le cose continueranno così, l’ “effetto Draghi” costituirà per il nostro governo la migliore assicurazione per la sostenibilità del nostro debito pubblico.
Come per qualunque debitore la fiducia (ne abbiamo parlato a lungo per le banche in altri) è l’elemento fondamentale per il costo del debito. La Germania, ad esempio, oggi è in grado di collocare il proprio debito a 10 anni allo 0,2% contro l’1,7% dell’Italia: 1,5% in più o meno di costo su un debito di 2.200 miliardi significa 33 miliardi in meno di spesa e 33 miliardi in più da destinare alla riduzione del debito stesso e/o a politiche di stimolo dell’occupazione e degli investimenti (questi ultimi crollati, come noto del 30% dalla crisi post Lehman Brothers).
Anche per le imprese e le famiglie italiane che ricorrono al debito le cose sono migliorate. Secondo i dati della Banca d’Italia, i tassi sui nuovi prestiti da fine 2011 a oggi sono scesi per le famiglie (per acquisto di abitazioni) e per le imprese di oltre 200 punti base, attestandosi oggi sotto il 2%. Anche questo un minimo storico essenziale alla competitività delle nostre imprese ed anche al rilancio del mercato immobiliare attraverso i bassi tassi sui mutui.
Ho dato molti numeri, forse troppi.
Scusandomi per le inevitabili inesattezze (dovute sia ai dati presi qui e là sia a qualche elaborazione “casalinga”) credo però che emerga chiaramente quanto sia importante – per un paese con un alto debito come il nostro – presentarsi credibile di fronte a chi investe i propri denari per finanziarlo.
Utilizzando la spesa pubblica per finanziare gli investimenti e stimolare la crescita dell’occupazione, essenziali per la crescita del PIL che è mancata in questi anni, e tuttavia mantenendo la reputazione di buon pagatore. Senza una buona reputazione sui mercati, senza una prospettiva credibile di rientro virtuoso, in tempi ragionevoli, verso le medie europee del nostro rapporto debito/PIL neanche l’azione di “SuperMario” (Draghi ovviamente) potrà bastare.
Le istituzioni europee dovranno adottare scelte importanti per rafforzare la solidità e l’irreversibilità della moneta comune. A muovere la speculazione sugli spread è solo la possibilità ancorché remota di uscite di singoli stati dall’euro. Per fermarla non basta la politica monetaria, neanche con i tassi negativi.
Iniezioni di fiducia importanti verrebbero dalla garanzia europea sui depositi, in aggiunta a quella dei fondi nazionali. In questi giorni si riparla dell’introduzione degli eurobond, insieme alla proposta di rafforzamento dei poteri centrali con un “superministro” dell’economia europeo.
L’esperienza di questo inizio anno dell’entrata in vigore del “bail-in” nella soluzione delle crisi bancarie ha avuto un effetto devastante sulle banche europee. Un ripensamento per un approccio graduale verso tale innovazione così deflagrante sarebbe essenziale. La chiede il nostro governo, ma pure la Germania avverte i rischi sistemici della Deutsche Bank a causa dell’enorme posizione in derivati della stessa.
Bancor