Un paese che invecchia sempre più: è questa la fotografia scattata dall’Istat nel suo Rapporto Annuale: fuga di cervelli, crollano le nascite e si abbassano gli arrivi degli immigrati. Sono questi alcuni degli indici presi in osservazione dall’Istituto Nazionale di Statistica.
Il 1995 aveva segnato il minimo storico di bambini iscritti all’anagrafe: erano 527.000. Il 2013 segna un ulteriore ribasso: ‘appena’ 515.000. Praticamente 64.000 nascite in meno negli ultimi 5 anni.
Immigrati – Italia destinazione di immigrati? Non secondo gli ultimi dati Istat: anzitutto vi è una contrazione degli arrivi del 27,7% tra 2012 e 2007. ‘Solo’ 321.000 due anni fa. Ma anche la stanzialità degli immigrati diminuisce. Gli stranieri che escono dai confini nazionali italiani, infatti, sono cresciuti del 17,9%, mentre gli italiani stessi in fuga oltre le Alpi sono saliti del 36% solamente tra 2011 e 2012. Di questi 68.000, 26.000 sono trai 15 e i 34 anni. Negli ultimi 5 anni si tratta di 100.000 giovani. Praticamente una città della grandezza e popolazione di Udine.
Scappano dall’assenza di lavoro: sono 2 milioni le famiglie in Italia con almeno un membro del nucleo tra i 15 e i 64 anni o senza lavoro o senza pensione da lavoro. Ed in tutto arriverebbero a 3 milioni le famiglie in difficoltà economica, nelle quali nessuno lavora. Disoccupazione male generale, insomma. Sono 6,3 milioni di persone i senza posto ma “potenzialmente impiegabili”. Poi vi sono gli ‘scoraggiati’: 1 milione 427 mila. Quindi i ‘Neet’, coloro che non studiano né lavorano: 2 milioni e mezzo quasi. Cifre da brivido. Ma la crisi colpisce anche gli ulta cinquantenni che vorrebbero lavorare: 1 milione. Mancanza di lavoro e contrattazione atipica galoppante: metà di coloro che hanno un contratto a termine, nel 2013, lo hanno di durata inferiore ai 12 mesi. E nonostante questo il lavoro (e di conseguenza i contratti) si protrae a lungo: oltre cinque anni per 527 atipici.
Poi l’Istat parla delle disuguaglianze: “l’Italia è uno dei paesi europei con la maggiore disuguaglianza nella distribuzione dei redditi primari, guadagnati dalle famiglie sul mercato impiegando il lavoro e investendo i risparmi”. E “nonostante l’intervento pubblico operi una redistribuzione dei redditi di mercato di apprezzabile entità, non inferiore a quella dei paesi scandinavi, in Italia il livello di disuguaglianza rimane significativo anche dopo l’intervento pubblico”
Daniele Errera