Calo prezzo del petrolio: in Azerbaigian la stagione dell’oro (nero) è finita
Calo prezzo del petrolio: per l’Azerbaigian l’età dell’oro è finita. Dopo anni di crescita, il paese caucasico è alle prese con recessione, inflazione e moneta che perde valore. Negli ultimi anni, a tenere alti i giri del motore azero è stato l’oro nero: il petrolio. Ora che il barile si vende a prezzi bassissimi, i nodi irrisolti di un’economia ancora troppo indietro sono venuti al pettine. Baku affronta una crisi che può facilmente diventare politica e sociale.
L’Azerbaigian è il terzo esportatore di petrolio tra i paesi dell’ex blocco sovietico. È soprattutto la sua posizione ad aver fatto la differenza, con la rete di gasdotti che punta dritta dritta all’Europa. Grazie alle risorse del sottosuolo, un fiume di denari è confluito regolarmente nelle casse statali. Il Pil dell’Azerbaigian ha veleggiato a una media del +13,5 per cento nel corso del boom petrolifero dal 2003 al 2012. Una ricchezza tale da far lievitare i redditi pro capite da 900 dollari a 8.000.
Calo prezzo del petrolio: in Azerbaigian la stagione dell’oro (nero) è finita
Oggi però i numeri raccontano che quella stagione sta finendo rovinosamente. Il prezzo del petrolio è ai minimi storici e non accenna a risalire. Baku ha bruciato ingenti risorse per sostenere la propria moneta e introdurre un controllo dei capitali non è servito a frenare la discesa. Il paese naviga nella tempesta di una crisi valutaria. Diverse banche sono saltate e hanno dovuto chiudere.
Secondo Standard & Poor’s, il Pil il si contrarrà dell’1 per cento quest’anno e sarebbe la prima volta in territorio negativo dal 1995. Anche il potere d’acquisto delle famiglie si sta riducendo. L’inflazione è alta. Considerato il quadro, a fine gennaio l’agenzia ha deciso di declassare a spazzatura il rating azero. Moody’s ha fatto lo stesso pochi giorni dopo. Come riportato dal Financial Times, il governo azero ha cominciato a parlare con il Fondo Monetario Internazionale e la Banca mondiale: sul tavolo c’è l’ipotesi di un prestito da 4 miliardi per evitare il default.
I problemi dell’Azerbaigian sono quelli tipici di una economia che per troppo tempo si è basata su un solo asset, quello energetico, e non ha pensato a diversificarsi: il 95 per cento dell’export è costituito da petrolio e gas. Non aiuta neanche il contesto generale nel quale l’economia azera dovrebbe maturare e prosperare: secondo il Transparency International’s 2015 Corruption Perceptions Index, l’Azerbaigian occupa la posizione 119 su 167 paesi.
Nel governo di Baku c’è preoccupazione, non solo per quello che dicono i numeri. Le incognite economiche potrebbero diventare anche incognite politiche per Ilham Aliyev, presidente dell’Azerbaigian dal 2003 – prima al potere c’era stato suo padre. Dopo aver governato in anni di crescita, Aliyev deve ora gestire una situazione completamente diversa.
A gennaio ha autorizzato una ventina di provvedimenti mirati al sostegno ai salari e le pensioni. Non è bastato. Il dissenso nei confronti del governo è in crescita e sta prendendo sembianze insolite per l’Azerbaigian: raduni e manifestazioni di piazza, eventi storicamente rari nel paese.
A gennaio la polizia ha usato con gas lacrimogeni e cannoni ad acqua per disperdere i manifestanti che si erano radunati nella piazza principale di Quba, città di quarantamila abitanti, centocinquanta chilometri a nord di Baku. Scene simili si sono viste negli stessi giorni nel distretto di Siyazan, poco più a sud: 55 arresti.
A inizio febbraio, di nuovo, un migliaio di persone si sono radunate a Ganca (la seconda città del paese) di fronte agli uffici del Partito del Nuovo Azerbaigian del presidente Aliyev. Protestavano contro il governo chiedendo posti di lavoro. E anche in questo caso le forze dell’ordine hanno risposto usando la forza ed effettuando numerosi arresti.
Tra la gente c’è la paura che il governo sia incapace di rispondere efficacemente alla crisi. Il governo teme che con lo sbriciolarsi dell’economia si vadano a incendiare proteste sempre più grandi e partecipate. Alla lunga, il problema della tenuta economica potrebbe diventare un problema politico e sociale.