Dal Consiglio europeo, nel quale si è parlato soprattutto del compromesso con la Gran Bretagna per evitarne l’uscita dall’Unione – il cosiddetto Brexit – duro affondo nei confronti dei paesi dell’est Europa da parte del presidente del Consiglio, Matteo Renzi, sulla questione migranti.
Renzi: “O solidali anche nel dare, o blocchiamo fondi”
“Cari amici, basta con le prese in giro: la solidarietà non può essere solo nel prendere, ma anche nel dare” ha affermato Renzi, lanciando un vero e proprio avvertimento nei confronti di quei paesi dell’est Europa restii ad accogliere i migranti: “Inizia ora la fase della programmazione dei fondi del 2020, O siete solidali nel dare e nel prendere, oppure smettiamo di essere solidali noi Paesi contributori. E poi vediamo”. Renzi ha, poi, ricordato che il nostro Paese è quello “che ha fatto più rimpatri”.
Un monito, quello del premier italiano, che è stato apprezzato anche da altri membri dell’Unione come la Francia e la Germania, o la Grecia, la quale preme sulla ricollocazione dei migranti. Nella conclusione del vertice di ieri è, comunque, passata la linea dura che prevede “respingimenti alle frontiere esterne dei cittadini di Paesi terzi che non soddisfano le condizioni d’ingresso o che non hanno presentato domanda d’asilo, sebbene ne abbiano avuto la possibilità”. Una scelta criticata soprattutto da Berlino, che, dietro questa decisione, vede il nulla osta dell’Europa per la creazione dei muri.
L’Ungheria: “quello di Renzi è un ricatto politico”
I paesi dell’Europa dell’est contrari alla ridistribuzione delle quote di migranti, Ungheria in testa, però, non ci stanno: per il portavoce del governo di Budapest Zoltan Kovacc, quello di Renzi è un “ricatto politico”. Secondo il paese magiaro, infatti, l’Europa non può costringere gli Stati membri a farsi carico di un certo numero di rifugiati, così come stabilito dal meccanismo delle quote.
Inoltre, dal vertice di Praga dei paesi di Visegrad dello scorso 16 febbraio, allargato a Macedonia e Bulgaria, era stato proprio il paese guidato da Viktor Orban ad aver paventato un piano B per risolvere la questione dei flussi di immigrazione nei Balcani, consistente nel creare una barriera ai confini tra Atene, Sofia e Skopje in modo da limitare il transito dei migranti nella penisola verso nord. Il tutto, qualora la Grecia non rispetti l’ultimatum di Bruxelles sul rafforzamento dei confini. “La Grecia ha fallito nella difesa dei confini Schengen dall’immigrazione di massa, quindi dobbiamo attuare un piano B con la costruzione di un muro a Sud” aveva dichiarato Orban.
Un’ipotesi, quella dei quattro di Visegrad, a cui guardano con attenzione anche gli altri paesi balcanici, che intendono rimanere dei paesi di transito, così come emerso dal pre-vertice tra il presidente della Commissione, Jean-Claude Juncker, e i quattro presidenti di Croazia, Slovenia, Serbia e Macedonia. Dall’Europa si sostiene, però, che “le decisioni che vengono prese a sud della rotta balcanica sono una reazioni di quello che accade più a nord”. Il riferimento, in particolar modo, è alle proposte dell’Austria.
L’Austria fissa le quote di migranti, gelo dell’Europa
Il paese alpino, tramite il ministro dell’Interno Johanna Milk-Leitner, aveva annunciato, ieri, la fissazione di una quota limite di 80 domande d’asilo e di 3.200 transiti da accettare al giorno. Per il cancelliere Faymann, infatti, “è impensabile” che l’Austria accolga “tutti richiedenti asilo d’Europa”. Milk-Leitner ha, poi, sottolineato che “è importante che ciascun Paese della rotta balcanica agisca in maniera restrittiva alle frontiere”, mentre, dal pre-vertice, la Serbia ha affermato di voler seguire quello che farà l’Austria”.
Le decisioni di Vienna, però, sono state accolte con gelo, a Bruxelles: Juncker ha affermato di non gradire le misure, Berlino ha parlato di scelte “miopi”, mentre il premier italiano Renzi ha posto l’accento sull’esistenza di un “tema austriaco”. “L’Austria ha una posizione che è comprensibilmente molto difficile perché, pensate, ha più richiedenti asilo dell’Italia in termini assoluti ed è un paese decisamente più piccolo del nostro e meno popoloso”, ha detto il primo ministro, sottolineando la necessità di “lavorare tutti insieme” e che “non possiamo nemmeno immaginare di chiudere il Brennero che è simbolicamente, e non soltanto simbolicamente, uno dei grandi elementi di unione in Europa”.