La grandezza di Umberto Eco risiedeva nelle sue opinioni. Il semiologo, filosofo, scrittore che si è spento ieri a 84 anni è oggi ricordato in tutto il mondo come una delle più grandi menti della contemporaneità, in grado di guardare la realtà con l’occhio critico dello scienziato e, con il passare del tempo, con lo sguardo rassegnato ma sempre battagliero di chi sa che il mondo sta girando troppo in fretta, fino a impazzire.
Umberto Eco: la vita
Nato ad Alessandria il 5 gennaio 1932 e laureatosi in filosofia all’Università di Torino nel 1954 con una tesi sull’estetica nel pensiero di San Tommaso d’Aquino, Eco iniziò a ottenere rilievo internazionale con il saggio del 1962 Opera Aperta, con il quale ha avuto il merito di aver posto le basi della neoavanguardia letteraria del Gruppo ’63, facendo dello strutturalismo il metodo per l’analisi di ogni forma artistica, dalla letteratura all’arte visiva, dalla musica d’avanguardia al linguaggio poetico:
“Abbiamo altresì visto che nessuna opera d’arte è in effetti “chiusa”, bensì ciascuna racchiude, nella sua esteriore definitezza, una infinità di “letture” possibili”.
Il suo nome è tuttavia ricordato per Il nome della rosa, il suo primo romanzo uscito nel 1980 per la casa editrice Bompiani e da cui è stato tratto nel 1986 l’omonimo film di Jean-Jacques Annaud con Sean Connery. L’opera, ambientata in un monastero benedettino, è costellata di frasi in greco e latino, rimandi alla cultura classica e medievale e citazioni artistiche e letterarie, un caso su tutti quello dei nomi dei due protagonisti del libro che rievocano l’universo del romanzo giallo: Guglielmo da Baskerville, che investiga utilizzando lo sherlockiano metodo deduttivo (e il nome stesso richiama il romanzo Il mastino dei Baskerville di Arthur Conan Doyle) e Adso da Meck, dal nome assonante a quello dell’assistente di Sherlock Holmes, il Dottor Watson.
Dopo ci sono stati tanti altri libri. Ha continuato a scrivere saggi e romanzi ma sono stati soprattutto questi ultimi ad avere sempre un grande successo di pubblico, da L’isola del giorno prima a Baudolino, fino agli ultimi Il cimitero di Praga e Numero Zero, quest’ultimo un’amara analisi del giornalismo italiano contemporaneo:
“Ma i giornali seguono le tendenze della gente o le creano?”
“Tutte e due le cose, signorina Fresia. La gente all’inizio non sa che tendenze ha, poi noi glielo diciamo e loro si accorgono che le avevano”.
Umberto Eco ha continuato a scrivere anche sui giornali e in particolare su L’Espresso, per il quale dal 1985 ha tenuto la celebre rubrica La bustina di Minerva, in cui dava la sua autorevole opinione sulla contemporaneità. Opinioni spesso forti e molto discusse, come quella data sui social media in occasione della lectio magistralis tenuta nel giugno 2015 all’Università di Torino, in occasione del conferimento della laurea honoris causa in “Comunicazione e Cultura dei Media”:
«I social media danno diritto di parola a legioni di imbecilli che prima parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino, senza danneggiare la collettività. Venivano subito messi a tacere, mentre ora hanno lo stesso diritto di parola di un Premio Nobel. È l’invasione degli imbecilli».
Un’opinione condivisibile o meno ma che non svilisce il suo contributo alla cultura e al pensiero mondiale.
Di Umberto Eco oggi restano i suoi libri, sempre pubblicati da Bompiani fino allo scorso novembre, quando l’allora direttrice editoriale Elisabetta Sgarbi ha annunciato di lasciare il suo ruolo (a causa dell’acquisizione di Bompiani da parte del Gruppo Mondadori) per fondare “La nave di Teseo”, nuova realtà che ha visto lo scrittore tra i principali promotori. La Sgarbi ha annunciato questa mattina che l’ultimo libro di Eco, “Pape Satàn Aleppe. Cronache di una società liquida”, uscirà a maggio proprio per “La nave di Teseo”. Il libro raccoglierà le bustine di Minerva pubblicate su L’Espresso dal 2000 all’ultima pubblicata, risalente allo scorso 27 gennaio, in cui Eco ha recensito la mostra milanese su Hayez.
Sarah Coalutti