Spiagge e turismo: Cuba nel mirino degli investitori internazionali
Spiagge e turismo: Cuba nel mirino degli investitori internazionali
Cuba potrebbe essere sulla soglia di una seconda vita. Investitori messicani, cinesi, francesi, spagnoli, britannici, canadesi sono tutti impegnati nel tentativo di bruciare sul tempo gli avversari e assicurarsi la fetta più grande di una torta che potrebbe valere un bel po’.
Cuba (11 milioni di abitanti) ha un’economia debolissima. I turisti dall’Europa e dal Canada l’hanno tenuta in piedi per anni. Proprio i canadesi detengono il record di presenze: dei circa tre milioni e mezzo di stranieri che nel 2015 hanno visitato l’isola, un terzo circa veniva dal Canada.
I numeri sono in crescita anche perché tanti cittadini statunitensi hanno deciso di varcare il braccio di mare che separa le coste della Florida da quelle cubane, sfruttando motivazioni di viaggio vaghe abbastanza da aggirare i divieti. È uno degli effetti della decisione di Barack Obama che nel 2014 ha riaperto i canali diplomatici con L’Avana, avviando un disgelo nel rapporto tra i due paesi che avrà un’altra importante tappa nel viaggio che il presidente americano farà sull’isola a fine marzo: la prima visita di un inquilino della Casa Bianca in più di 80 anni. Facile pensare che il processo di normalizzazione finirà con spalancare un ventaglio di possibilità anche per gli investitori americani, non i soli a voler fare affari sull’isola.
La Francia ad esempio è particolarmente attiva: quarto paese per investimenti, tra i primi dieci partner economici, centomila turisti ogni anno. Il gruppo transalpino Pernod Ricard (produttore del rum Havana Club, tra l’altro) è già arrivato sull’isola caraibica.
E l’Italia? Non siamo indietro. Roma ha un giro d’esportazioni in crescita che si aggira tra i 250 e i 300 milioni di euro.
Artigianato, infrastrutture, high tech: il mercato cubano fa gola agli imprenditori italiani, giganti e pmi. L’Italia ad esempio produce macchinari per bevande e Cuba produce rum, un matrimonio che potrebbe fruttare non poco.
L’area intorno a Mariel (quaranta chilometri a ovest dell’Avana) è una di quelle su cui governo cubano punta molto: potrebbe diventare infatti un polo cardine delle rotte caraibiche, sia in campo turistico che commerciale. Il Brasile ci ha messo un piede da qualche anno finanziando la modernizzazione del porto: parte del denaro brasiliano è stata utilizzata per dotare l’area di una migliore rete stradale e ferroviaria. Unilever (multinazionale anglo-olandese dell’alimentazione) vuole costruire un impianto da 35 milioni di euro per la produzione di sapone e dentifricio proprio nell’area di Mariel.
E poi c’è L’Avana. La riqualificazione della capitale è una gallina dalle uova d’oro. Ci sono progetti per cambi da golf, hotel di lusso, resorts. Una vecchia linea ferroviaria sopraelevata potrebbe diventare un clone della High Line di New York. Mariel il polo industriale e L’Avana quello turistico, in due parole. Airbnb (portale online che mette in contatto chi cerca un alloggio per brevi periodi con chi ha spazi da affittare) ha avviato le sue operazioni sull’isola nell’aprile 2015.
Così com’è oggi, però, la capitale cubana sarebbe incapace di assorbire un turismo di dimensioni considerevoli: sono circa 60.000 le camere d’albergo attualmente disponibili. In cinque anni potrebbero superare quota 80.000. Non stanno meglio le infrastrutture: la rete idrica, ad esempio, vecchia di quasi un secolo, disperde gran parte dell’acqua che dovrebbe trasportare.
Ma sono problemi che non frenano quelli che hanno voglia di fare soldi a Cuba. Entro la fine dell’anno, affacciato sul Parque Central (in pieno centro a L’Avana), dovrebbe aprire i battenti un hotel a 5 stelle della catena internazionale Kempinski. Marchi a stelle e strisce come Marriott e Hilton aspettano solo che l’embargo si rompa.
Probabile che questo processo si acceleri, nei prossimi anni.
Le pressioni delle lobby a stelle e strisce interessate a fare affari a Cuba potrebbero spingere Washington a fare passi in avanti nella direzione tracciata da Obama. Secondo un sondaggio dell’anno scorso condotto dal Pew Research Center (think tank statunitense), il 66 per cento degli americani sostiene l’eliminazione dell’embargo.
Le autorità cubane affermano di avere in testa un progetto di sviluppo che intreccerà opportunità turistiche e rispetto dell’identità culturale. Ma è una Cuba diversa quella che potrebbe emergere tra qualche anno. Sull’isola la trasparenza nell’amministrazione pubblica non brilla. La burocrazia è una macchina contorta e la corruzione è un fattore non trascurabile. Ecco perché bisognerà vedere come le autorità dell’isola decideranno di gestire le lusinghe degli investitori stranieri, per evitare che un’opportunità di ricchezza diventi uno sfruttamento senza benefici.
Antonio Scafati