Gli 80 anni di Achille Occhetto, tra l’incudine e il martello
La storia lo annovera come l’uomo del superamento ideologico. La sua rappresentazione iconica oggi ci consegna la figura di un pauperista dell’impegno intransigente. Con discussa e criticata inflessibilità, per l’appunto, tra una incudine e un martello ormai dimentico della falce, condusse, da segretario del Pci, il partito alla scissione. Divisione maturata e coagulata, a livello internazionale, nella caduta del muro di Berlino e nella disfatta del progetto sovietico. Per la politica nostrana fu l’avvio di quella che gli annali ricordano come la “Svolta della Bolognina”. Siamo nel 1989. La distruzione del rapporto primigenio con il capezzolo del Pci, plasmò la nascita del Partito Democratico della Sinistra e del Partito della Rifondazione Comunista. A quest’ultima forza di rinascita rossa contribuirono gli irriducibili del pensiero unico: Cossutta, Serri, Garavini. L’Italia assisteva dunque all’istituzionalizzazione del grande male atavico della Sinistra: lo scissionismo cronico.
Eppure Achille Occhetto, recentemente intervistato da Alessandro Ferrucci per il Fatto Quotidiano in occasione del suo prossimo genetliaco (80 anni il venturo 3 di marzo ndr), sembra oggi rigettare la responsabilità ideale che lo vorrebbe spartiacque unico di un processo storico ciclico: “In realtà voglio dare notizia a tutti coloro i quali ancora oggi me l’attribuiscono (si riferisce al ruolo di presunto “Picconatore della Falce e del Martello” ndr): la fine del Comunismo non è stata determinata da me, è stata una crisi mondiale. Ho solo cercato di uscirne con una nuova sinistra”.
Achille Occhetto, la sinistra odierna e quel sibillino “Partito della Nazione”
Quando gli viene chiesto di analizzare la situazione politica italiana, Achille Occhetto non nasconde una preoccupazione di fondo. Tale coacervo di dubbio è relativo a quella cultura politica egemonizzante, legata alla figura di un vincitore unico, alla base di una sinistra autoritaria ben poco legittimata dal consenso popolare. Insomma il buon vecchio fantasma di Belfagor che l’attuale premier Matteo Renzi non ha né la voglia, né il tempo di cercare: il Partito della Nazione. L’ex segretario del Pci non lesina metafora, definendo la situazione attuale del Pd in Italia alla stregua di un grande inganno.
“Il discorso si lega a Renzi, alla collocazione del Partito democratico e al grande inganno che si è costruito davanti alla sinistra. Vede, non condivido la tesi che Renzi non abbia un progetto: lui ne ha uno, nascosto, il suo torto è di non esplicitarlo. Quando lui ha detto che la scelta non era più di destra né di sinistra, ma la contrapposizione tra innovazione e conservazione, ha espresso le prime note di un obiettivo: quello del Partito della Nazione, che in realtà è il nuovo Partito di centro”.
Achille Occhetto: “Il popolo di sinistra è ancora stordito, ha creduto in una possibilità di mutamento, ma confido in una reazione”
“Se Renzi avesse detto ‘voglio fare un Partito di centro’, non ci sarebbe stato niente di male, in realtà ha lanciato un’Opa sulla sinistra, e ha portato milioni di ex comunisti a votare con una parola d’ordine nuova: vittoria”. Achille Occhetto disegna un popolo della sinistra disilluso, tradito, emarginato anche nella fondamentale prassi di una Repubblica Parlamentare: il voto del cittadino. Quantomeno a livello nazionale. Del resto, all’ex segretario del Pci non sfugge certo il margine di consensi ottenuti dal Pd a livello europeo. Quel 41 per cento che mai il buon vecchio Partito comunista raggiunse, nemmeno negli anni più rosei della Prima Repubblica. Tuttavia il suo evidentemente indomito senso della Rive gauche lo porta ancora a sperare in una presa di coscienza collettiva possibile.
In ultimo, quando a margine dell’intervista gli viene domandato di un posto sereno dove far respirare anima e cultura progressista risponde “da nessun’ altra parte se non nella mia memoria; la memoria è la mia grande casa”.
Riccardo Piazza